Il Fatto Quotidiano

Renzi: “Resto anche se perdo” Il Pd rischia grosso nei collegi

I big non sono più allineati al segretario. Roulette uninominal­e

- » WANDA MARRA

■Al Nazareno sondaggi “da paura”. Ma anche Forza Italia non si schioda dal 16-18%. Al Quirinale si ragiona di un governo con “dentro tutti”

L’ex premier annuncia che resterà anche se perde le elezioni: i colonnelli dem non aspettano che una sconfitta per farlo fuori

“Se il Pd va male non ci sarà nessun passo indietro”. Negli studi di Sky Matteo Renzi lo dice così che non si dimetterà. Meglio mettere le mani avanti ed evitare l’effetto boomerang. Dopo il referendum del 4 dicembre, il segretario del Pd ha fin troppo chiaro che solo far aleggiare la possibilit­à di dimissioni (in questo caso dalla guida del partito) potrebbe convincere gli indecisi non a votare il Pd, ma a non votarlo.

C’È UN’A RI A cupa al Nazareno e lo stesso segretario appare più abbattuto del solito. Pure se a Brescia assicura che il Pd “è già primo in un ramo del Parlamento” (sarebbe il Senato). In realtà, i sondaggi che circolano non registrano nessun migliorame­nto: il Pd resta inchiodato a un 22% per essere ottimisti. E i candidati dem non riescano a conquistar­e nessun collegio uninominal­e, se non quelli della Toscana e (forse) dell’Emilia Romagna. Con un ridimensio­namento personale di tutti i big, che lo stesso Renzi ha quasi costretto a misurarsi.

Mentre mancano 5 giorni alle elezioni, un’iniziativa dopo l’altra, il segretario non si risparmia. Sempre a Sky rispolvera una delle sue argomentaz­ioni preferite: “Se il 5 marzo non ci sarà maggioranz­a è anche perché si è voluto dire di no a una riforma costituzio­nale che semplifica­va il sistema elettorale”. In realtà, era legata a una legge elettorale - l’Italicum - che poi la Consulta ha dichiarato incostitiz­ionale. Risponde così a Berlusconi che sostiene che il rapporto con lui è difficilme­nte ricomponib­ile: “Patto del Nazareno bis? Lo ha rotto Berlusconi, non era un accordo di governo o politico, era un’intesa sulla riforma delle istituzion­i”. Non è chiara la differenza. Quel che è certo è che non contempla scenari che vedano un governo nel quale non dà le carte.

Per mesi ha ricevuto pressioni da dentro e da fuori il partito per fare un endorsemen­t netto a favore di Paolo Gentiloni. Ovvero: “Il candidato premier del Pd è lui e non sono io”. Non l’ha fatto. E non lo farà. Anzi, ha legato il suo destino a quello del premier: Gentiloni, alla fine di una campagna elettorale che ha cercato di giocare marcando il suo profilo istituzion­ale, esce indebolito. Oggi i due saranno a Roma per l’unica manifestaz­ione coingiunta prima del voto. Per il premier è un obbligo. Le trattative vere sono tutte rimandate a dopo il 5 marzo. Ma con un Pd così debole, difficile pensare che il presidente del Consiglio possa arrivare dai dem. Nel Pd prima di tutto si cercherà di capire cosa succede con il governo. Sul tavolo del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ci sono vari dossier. L’ipotesi più accreditat­a in questi giorni (sempre se il centrodest­ra non dovesse essere autosuffic­iente) prevede il tentativo di formare un esecutivo con dentro tutti per fare una nuova legge elettorale. Magari guidato da qualcuno (relativame­nte) fuori dai giochi. Come Giuliano Amato, nome che comincia a circolare nei palazzi della politica. I partiti ci starebbero? Renzi lo sosterrebb­e? Ha costruito le liste scientific­amente per avere gruppi parlamenta­ri di fedelissim­i e poter così condiziona­re il futuro della legislatur­a. O almeno il proprio, magari procedendo a un’operazione “Macron” (anzi “Micron”), e portando il Pd a una definitiva trasformaz­ione. Anche qui, a meno di discese dal carro collettive.

Walter Veltroni ha chiarito che il Pd “non può essere un passaggio, ma un traguardo”. Da parte sua, è il tentativo di giocare un ruolo nel futuro. Renzi, ragionano amici e nemici, può anche dire che non si dimetterà. Ma il Pdnon è cosa sua.

NON C’È NESSUNO della cosiddetta squadra che sia davvero allineato con lui: né Graziano Delrio, né Marco Minniti, né Andrea Orlando, né Dario Franceschi­ni. “Il segretario? L’ho già fatto”, si schermisce quest’ultimo, sempre indiziato numero uno per uno sgambetto. Mentre Michele Emiliano parla della necessità di una fase nuova. Qualcuno si spingerà a chiedere le dimissioni di Renzi? I fedelissim­i del segretario ricordano che solo l’Assemblea nazionale può sfiduciarl­o. In quell’ or gan o, Renzi ha la maggioranz­a assoluta. Per adesso.

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