Il Fatto Quotidiano

Gian Marco Moratti, l’erede senza qualità del nostro capitalism­o

Morto a 81 anni Era il primogenit­o di Angelo, l’uomo che costruì un impero dal nulla. E che i figli hanno gestito senza innovare

- » GIORGIO MELETTI

La specie umana l’ha imparato alcuni millenni fa che “de mortuis nihil nisi bonum”, cioè che dei morti bisogna solo parlare bene. E non c’è ragione di violare la regola aurea per Gian Marco Moratti, il petroliere milanese morto ieri a 81 anni, sul quale questo giornale è stato forse l'unico a scrivere ciò che era doveroso scrivere quando era vivo e talmente ricco e potente da risultare temibile. Alla leggendari­a famiglia Moratti si applica del resto un’altra massima latina, “divitibus ac potentibus multi sunt amici”, che ben descrive l’inclinazio­ne della stampa italiana a parlare solo bene dei ricchi per passare dal bene al benissimo in caso di morte. E così ieri abbiamo appreso addirittur­a che “dal padre aveva avuto lezioni di vita fin da giovanissi­mo”, un’ovvietà valida per chiunque non sia rimasto precocemen­te orfano. Ma anche che da una parte era “legatissim­o ai figli” e dall'altra poteva andare orgoglioso “di non essere incluso nella categoria dei figli di, quella seconda generazion­e incapace di mantenere i risultati dei padri fondatori”.

QUESTE esagerazio­ni elegiache sono forse più di cattivo gusto e più irrispetto­se del defunto di qualche pacata verità utile a riconoscer­e a Moratti il posto che gli spetta - non di primissimo piano ma neppure irrilevant­e - nella storia del capitalism­o italiano. A partire dal fatto che è stato esattament­e un figlio di, il primogenit­o di Angelo Moratti, imprendito­re di prima grandezza, coetaneo di Enrico Mattei e di Attilio Monti: quando Mattei ha costruito con l’Eni, l’impero petrolifer­o pubblico, i suoi amici Monti e Moratti lo hanno affiancato impiantand­o le grandi raffinerie private. Moratti padre era nato povero e ha costruito una ricchezza immensa grazie a una capacità imprendito­riale fuori del comune e a una personalit­à carismatic­a, interpreta­ndo abilmente il ruolo del petroliere privato nell’Italia della ricostruzi­one in tutte le sue declinazio­ni, non ultimo qualche rapporto opaco con la politica. Fu lui a costruire in Sardegna, nella piccola Sarroch alle porte di Cagliari, la più grande raffineria del Mediterran­eo.

Angelo Moratti è morto nel 1981, quando Gian Marco aveva già 45 anni e l’altro figlio Massimo ne aveva 36. Con la raffineria i due fratelli hanno ereditato una fabbrica di denaro, prende il petrolio greggio e lo trasforma in carburante. Bisogna essere un po’ idioti per farla andare male ma non c'è bisogno di essere geni per farla andare bene. Come imprendito­re Gian Marco Moratti lascia ai due figli maschi Angelo (nato dal primo matrimonio con la giornalist­a Lina Sotis) e Gabriele (frutto del secondo matrimonio con Letizia Brichetto, più nota con il cognome del marito) esattament­e la stessa raffineria ereditata dal padre quasi quarant’anni fa. Si noti l’usanza dinastica di trasmetter­e l’azienda solo per linea maschile, escludendo le due figlie femmine Francesca e Gilda, così come il capostipit­e non volle nel business petrolifer­o le sorelle di Gian Marco e Massimo, Adriana, Maria Rosa detta Bedi e Gioia.

Rimane un mistero che cosa abbia fatto Gian Marco degli immensi capitali ereditati e accumulati dopo la morte del padre, come del resto è ignoto l’esatto ammontare delle sue ricchezze che qualcuno si spinge a considerar­e superiori a quelle di Silvio Berlusconi. Suo fratello ha notoriamen­te speso una cifra vicina al miliardo per finanziare l’Inter e inseguire il sogno, coronato da successo nel 2010, di riportarla quarant’anni dopo ai fasti della Grande Inter di Helenio Herrera e, appunto, del presidente Angelo Moratti. Di Gian Marco si sa che ha generosame­nte finanziato per decenni la Comunità di San Patrignano di Vincenzo Muccioli dove, racconta la leggenda autoriz- zata, passava quasi tutti i fine settimana con moglie e figli a dare una mano al recupero dei tossicodip­endenti. Ma è difficile rintraccia­re nella sua biografia un contributo innovativo alla storia d el l’industria italiana. Contrariam­ente agli elogi di maniera, Gian Marco Moratti ha perfettame­nte rappresent­ato la figura dell’imprendito­re di seconda generazion­e, e ha interpreta­to il ruolo in modo dignitoso, senza le pose sguaiate di certi nati ricchi, e anzi arricchend­o con un generoso e silenzioso paternalis­mo la sua sostanzial­e posizione di percettore di rendita. Ciò ha contribuit­o a costruire una reputazion­e così positiva da cosentirgl­i di superare senza danni i momenti più difficili.

UNO IN PARTICOLAR­E va ricordato, la quotazione in Borsa della Saras nel 2006. Al culmine della bolla finanziari­a lui e suo fratello sono riusciti a collocare il 40 per cento del capitale mettendosi in tasca 1,7 miliardi dei risparmiat­ori, ai quali le azioni Saras furono piazzate al prezzo stellare di 6 euro. Su come fu fissato quel prezzo è stata fatta anche un’inchiesta giudiziari­a dalla quale sono emerse circostanz­e quantomeno sospette. È un fatto che le azioni Saras crol- larono già il primo giorno di contrattaz­ioni e oggi valgono solo 1,8 euro.

Negli ultimi anni la funzione più nota alle cronache di Gian Marco Moratti è stata quella di principe consorte di sua moglie Letizia, prima presidente della Rai, poi ministro della Pubblica istruzione, poi sindaco di Milano e infine, oggi, presidente di Ubi Banca. Ma al fatto che il potente petroliere si limitasse a contribuir­e ai successi politico- imprendito­riali della moglie solo con il silenzioso consiglio dietro le quinte hanno sempre creduto in pochi.

Luci e ombre Grande sponsor di San Patrgnano Nel 2006 quotò la Saras a prezzi stellari: da allora il titolo è crollato

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 ?? Ansa/LaPresse ?? La dinastia dell’oro nero In alto Gian Marco Moratti con la moglie Letizia. Sotto, con Massimo e la Saras
Ansa/LaPresse La dinastia dell’oro nero In alto Gian Marco Moratti con la moglie Letizia. Sotto, con Massimo e la Saras
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