Marcegaglia, lezioni di etica alla Polonia Dal pulpito dell’Eni
La presidente dell’Eni Emma Marcegaglia forse non esiste, dev’essere un’invenzione letteraria, un mito cinematografico, l’industriale di Mantova come la tabaccaia di Fellini o la nana di Sorrentino. Due giorni fa, Il Sole 24 Ore l’ha intervistata come presidente di un misterioso oggetto chiamato Business Europe. Titolo: “Le imprese in prima fila sui valori e i codici etici”. Oh, pensa l’ingenuo, finalmente madamep arlerà degli scandali Eni. Macché. Ecco la spietata domanda: “In alcuni Paesi europei – Polonia, Ungheria, Romania – a rischio è lo Stato di diritto. Quanto è forte il timore di Business Europe ?”. Risposta misurata ma ferma: “C’è preoccupazione”. Poi l’annuncio choc: “In Polonia vogliamo organizzare un seminario di Business Europe per dimostrare quanto il tema stia noi (sic, ndr) a cuore”. E qui l’Italia rischia di passare alla storia come la prima nazione invasa dalla Polonia. I nostri eurofratelli polacchi avrebbero ragione di trovarsi assai incazzati ( pran rabidi, in mantovano) per la lezione di etica da un pulpito simile. Sarebbe meglio che l’imprenditrice di Mantova parlasse di casa sua. Se “la certezza del diritto è indispensabile per una impresa”, sacrosanta intuizione, Marcegaglia ci intrattenga sull’Eni.
È IN ITALIA, NON IN POLONIA che Matteo Renzi ha nominato (e Paolo Gentiloni confermato) alla presidenza della maggiore società pubblica la proprietaria di una società privata fornitrice dell’Eni il cui amministratore delegato, Antonio Marcegaglia (fratello), ha patteggiato undici mesi di carcere per l’accusa di aver corrotto un manager dell’Eni “per dare spessore al desiderio della società dei Marcegaglia di essere ammessa all’agognata lista dei fornitori”. Accadeva il 28 marzo 2008. Cade giusto ora il decennale, si potrebbe festeggiare istituendo all’uopo la “Giornata dell’etica negli affari”, magari finanziata dal generoso ufficio sponsorizzazioni dell’Eni. E chiederle di rievocare proprio quei giorni, quando diventava presidente della Confindustria con lo slogan “espelliamo chi paga il pizzo alla mafia”, ma non chi paga tangenti all’Eni.
È in Italia, non in Polonia che la presidente dell’Eni conferma piena fiducia a un amministratore delegato, Claudio Descalzi, sotto processo per corruzione internazionale con il presidente della società controllata Versalis Roberto Casula. È in Italia che l’ex capo degli affari legali Massimo Mantovani – oggi promosso a più alti incarichi nel settore gas – è indagato come presunto capo di un’associazione a delinquere “finalizzata a intralciare l’attività giudiziaria”, cioè a far saltare il processo contro Descalzi e Casula, e la presidente dell’Eni non fiata. È in Italia che la procura di Milano individua ai piani alti dell’Eni la regia di un depistaggio per il quale è stato arrestato il pm di Siracusa Giancarlo Longo. È Longo che ha (senza querela, quindi illecitamente) indagato per diffamazione i consiglieri “scomodi” Karina Litvack e Luigi Zingales. È in Italia che Descalzi e Mantovani sporgono la surreale querela postuma “a sanatoria”, mentre la Marcegaglia prende al balzo l’inchiesta farlocca di Siracusa per far fuori la Litvack dal comitato di controllo dove fa troppe domande, mentre Descalzi, Casula e Mantovani restano al loro posto.
È in Italia, non in Polonia che di questo Marcegaglia non parla e Il Sole 24 Ore del presidente della Confindustria Vincenzo Boccia, eletto con i voti decisivi dell’Eni, non chiede. Ai fratelli polacchi solo un euroconsiglio: se vi arrivano le lezioni di etica della Marcegaglia, dite sì con robusti cenni del capo (la presidentaè permalosa), poi fate il contrario, giusto per non rischiare che vi invada qualcuno più civile di noi. (A sorelle e fratelli italiani: buon voto, a tutti/e).
Twitter@giorgiomeletti