“É una rivolta contro gli oligarchi. La strada è 5Stelle-centrosinistra”
Il giurista e presidente emerito della Consulta: “Hanno voluto rinviare di un po’ il redde rationem, ma alla fine è arrivato e per via democratica”
LA PAROLA ”POPULISTA”
Non significa nulla, segnala solo il nudo scontro di potere: chi la usa rivela al fondo di ritenersi superiore, salvo finire per fare l’interesse del più forte
L’INEVITABILE CONTRACCOLPO
La ribellione non è una malattia dello spirito, ma la reazione al senso di spossessamento che è tanto più forte quanto più la classe politica è stata sorda
Professor Zagrebelsky, che lettura dà del voto del 4 marzo?
Non una rivoluzione, piuttosto una ribellione o, se preferisce, una rivolta. Mi baso non su dati di demoscopia elettorale, ma su personali diffuse percezioni.
Rivolta contro chi o contro cosa?
La psicologia politica democratica è ciclica. Le democrazie, all’inizio, sono sistemi aperti alla larga partecipazione popolare; poi, più o meno rapidamente si rattrappiscono in oligarchie. Le forme possono restare tali, ma i cittadini iniziano a sentirsi estranei in casa propria. Della trasformazione delle democrazie in oligarchie è testimone la storia. La ribellione non è una malattia dello spirito, ma la reazione a un sentimento di spossessamento, tanto più forte quanto più la classe politica è stata sorda e si è costituita in casta. Non appena si toglie il coperchio, arrivano le sorprese.
Se questo è “populismo”, allora equivale alla ribellione delle masse contro le lite?
La parola è carica di valenze negative. Che cosa davvero significhi è difficile dirlo. Di sicuro, chi la rivolge a un altro non vuole fargli un complimento. Senza risalire più indietro, populisti sono stati detti Perón e la moglie Evita in Argentina; papa Giovanni XXIII e papa Francesco; Obama, Trump e Sarah Palin negli Usa; Di Pietro, Berlusconi e Renzi da noi. Insomma, populisti sono sempre gli altri, quando li si teme. Salvo poi, quando serve, scambiare le vesti; così, per esempio, Berlusconi e Renzi, all’inizio esempi di populismo, diventano a un certo punto magicamente gli alfieri dell ’ anti- populismo. Chi parla di populismo, insomma, parla per frasi fatte e si esonera dal guardare dentro la complessità delle cose. Proporrei di abbandonare la parola tra gli scarti del lessico politico.
Se “guardiamo dentro”, come dice lei, che cosa vediamo?
Possiamo vedere tante cose, ma c’è una costante: si dice populista al leader, al movimento, al partito che, con l’appoggio del popolo, contesta i poteri costituiti. Oggi diremmo: contesta “la casta”. La parola populismo, non ha a che vedere con il conflitto tra idee politiche: si può essere populisti o anti-populisti di destra e di sinistra. Ha a che vedere, invece, con la competizione per il nudo potere. Nella contesa politica, chi più frequentemente la pronuncia appartiene (così rivelando di appartenere) al giro di coloro che si ritengono superiori e perciò pretendono d’impersonare il “buon-governo”. Pochi che sanno contro i tanti che non sanno: oligarchia, per l’appunto. Salvo poi constatare che il bene di tutti finisce presto per coincidere con gli interessi più forti.
E ora?
Mi pare di vedere che siamo pienamente in una fase di diffusa insofferenza nei confronti di questo modo di concepire la vita politica come affare di circoli riservati. Come dicevamo, ribellione di massa contro la cristallizzazione e l’autoreferenzialità di un potere chiuso, lontano, incapace di avvertire le tante ragioni di sofferenza della nostra società. I 5Stelle dovranno ancora chiarire diverse cose circa la propria identità, e non potranno non farlo quando saranno chiamati alla prova del governo. Ciò che, comunque, si può dire fin da adesso, è ch’essi sono una risposta all’insofferenza che caratterizza il ciclo attuale della democrazia di cui parlavo all’inizio.
Che succede, quindi?
Nessuna struttura di potere è immune dal rischio oligarchico. Nemmeno chi ha avuto successo in nome della lotta contro le oligarchie. Vedremo se e come ci si renderà conto del rischio sempre presente d’essere fagocitati.
Si è interrotta la connessione sentimentale con gli elettori?
Miopia politica del ceto politico, direi piuttosto. O forse arrendevolezza, impotenza di fronte agli effetti sociali di un sistema di relazioni domi- nato dalla libertà della speculazione finanziaria. I diritti sociali conquistati nel secolo scorso si sono progressivamente erosi. I più deboli sono in difficoltà. Il numero dei poveri e degli emarginati cresce.
Facciamo qualche esempio?
Si rinuncia a fare studiare i propri figli; si rinuncia a cure mediche pur essenziali; si cerca altrove la prospettiva d’un futuro; si vive di carità o di espedienti. A fronte di ciò stanno i garantiti, anzi i super- garantiti. Andare all’estero per cercare un proprio futuro non è per tutti la stessa cosa. Per alcuni è questione di sopravvivenza; per altri, è
status symbol della up per class. Non sono la stessa cosa il cameriere o il barista, e lo studente del college esclusivo che si prepara a entrare nell’agognato cerchio della finanza internazionale. Lei parla di connessione sentimentale. Come può esserci qualcosa di questo genere quando si fronteggiano precarietà e sicurezza, fragilità e immunità, ingiustizia e privilegio. Sono patetiche illusioni, vuote parole quelle di chi si propone il recupero della fiducia tacendo delle responsabilità maggiori che gravano su chi sta più in alto nella scala sociale. Anche gli atti simbolici sarebbero importanti. Non si risolvono i problemi della finanza pubblica riducendo indennità, emolumenti, regalie varie, ma certo si darebbe un segno importante. È un segno negativo la difesa a testuggine “fino alla sentenza definitiva” dei politici e degli amministratori che incappano in incidenti giudiziari, anche se non è solo su questo terreno che si sconfigge la corruzione dilagata nel nostro Paese.
Tutto questo genera frustrazione?
Certo. Al fondo della piramide c’è una massa di cittadini con difficoltà a vivere il presente e a immaginare il futuro. È irritante sentir dire, per esempio, che il Jobs Act ha creato migliaia di nuovi posti di lavoro: parli con i giovani e scopri che sono lavori sottopagati, a tempo limitato, senza garanzie e spesso aggrava-