Il Colle avvisa i dem: serve un esecutivo, al massimo a giugno
Non è un caso che ieri, nel suo discorso al Quirinale per la festa delle donne, il capo dello Stato abbia indicato il fatale 1975 quando, un anno dopo il referendum sul divorzio (che sancì la fine del leader dc Amintore Fanfani, cui spesso è stato accostato Matteo Renzi), ci fu un “compromesso alto” per la riforma del diritto di famiglia. Parole che hanno preceduto un appello alla“responsabilità” per“tutti” nell’ interesse generale del Paese e che di fatto conducono poi al 1976. Ossia all’anno delle elezioni del 20 giugno e al successivo governo Andreotti III, noto come il governo della non sfiducia, per la storica decisione del Pci di astenersi e garantire la sopravvivenza di un esecutivo tutto democristiano.
A DISTANZA di 42 anni, la nuova solidarietà nazionale potrebbe essere quella tra M5s e Pd, nonostante i muri alzati in queste ore dai democratici, dai renziani ma anche pubblicamente dal Guardasigilli Andrea Orlando, prima fila della minoranza. La formula della “non sfiducia” è bene in evidenza nel dossier preparato al Colle sulla prassi seguita dai presidenti della Repubblica in 70 anni di consultazioni e la risposta stizzita di Luca Lotti, ministro dello Sport e numero due del renzismo, al Quirinale conferma che il Pd ha percepito l’appello alla responsabilità come rivolto soprattutto al Nazareno.
Questo il commento di Lotti su Fb: “Se vogliamo essere seri, siamo pronti come sempre ad ascoltare le parole del Presidente Mattarella e il suo appello alla responsabilità. E forse anziché parlare del Pd - che ha perso e starà all’opposizione - è arrivato il momento di vedere cosa vogliono fare i vincitori Salvini e Di Maio”. Sono il corollario alla surreale conferenza post- elettorale dello stesso segretario del Pd, con l’attacco al presidente della Repubblica per non aver dato a Renzi il voto anticipato nel 2017 e adesso indicato dai renziani come presunto promotore di un accordo tra i grillini e il Pd derenzizzato.
In realtà, non esiste alcun “partito di Mattarella” tra i democratici che lavorano a questa ipotesi. Non è un mistero per nessuno, ormai, che il capo dello Stato agisce in netta discontinuità, se non rottura, con l’attivismo del suo predecessore. Mattarella ripete sempre ai suoi interlocutori che è un parlamentarista convinto e per quanto riguarda la dinamica delle consultazioni (a partire dal 2 aprile, il giorno di Pasquetta) aspetta di capire in base a quale accordo si eleggeranno i presidenti delle Camere, che si insedieranno il 23 marzo.
Ovviamente anche al Quirinale, in questi giorni, risuonano nomi e scenari, ma le riflessioni del presidente si tengono ben lontane da qualsiasi forma di moral suasion nei confronti dei partiti. Non è più il tempo, appunto, dell’attivismo presidenziale di Napolitano. PIANTATI questi rigidissimi paletti, le riflessioni del Colle potrebbero essere lambite da inquietudini europeiste a proposito della Lega di Matteo Salvini. Circola, per esempio, in modo insistente il nome del leghista Roberto Calderoli per la presidenza del Senato, cioè la seconda carica dello Stato, presidente supplente. Dotato di “qualità” tecniche nella gestione dell’aula, riconosciutegli anche dagli avversari, Calderoli però è l’uomo del Porcellum, l’autore di una legge elettorale che egli stesso ha definito una “porcata”, nonché l’indossatore della maglietta contro Maometto che provocò incidenti in vari Paesi arabi. Non proprio l’ideale per quella poltrona. Così come un’altra questione è l’ambiguità spregiudicata di Renzi, che mira a destabilizzare il già precario e incerto quadro politico uscito dalle elezioni. Non solo. E se Renzi corresse di nuovo alle eventuali primarie del Pd, puntando alle elezioni europee del 2019?
QUESITI e dubbi che si accavallano in vista della delicata fase delle consultazioni e che investono pure il M5s. Tra Camera e Senato, i grillini vantano un corposo gruppo parlamentare: ben 333. Ci sono garanzie solide sulla loro tenuta globale? Questo è dunque il viatico del Quirinale. L’obiettivo po- trebbe essere quello di varare un governo della non sfiducia entro la fine di giugno. Nel frattempo il premier Gentiloni e il ministro dell’Economia Padoan affronterebbero il dossier della manovra di aprile, con un esecutivo dimissionario, mentre qualche preoccupazione destano la partecipazione e il relativo peso di Angelino Alfano, titolare degli Esteri, al processo di pace in Libia.
E se poi, all’inizio dell’estate, il bilancio di consultazioni e trattative sarà negativo, il Quirinale non potrà che prenderne atto con lo scioglimento anticipato.
Solidarietà nazionale Al Quirinale si pensa al modello del ‘76: non sfiducia del Pci e monocolore Dc