IL SUD NON HA VOTATO PER LE CLIENTELE
Sta passando un’i n te rpretazione del voto che vede la spaccatura dell’Italia tra un Nord a trazione leghista e in un Sud pentastellato centrata sulla contrapposizione tra efficienza ed assistenza. L’affer mazione della Lega, che ha risollevato una destra altrimenti coinvolta nel declino di Berlusconi, darebbe voce all’aspirazione del Centro-Nord alla liberazione dai vincoli di uno Stato che, da un lato, continua a soffocare le iniziative individuali e a disperdere le risorse ad esse sottratte e che, dall’altro, non riesce a garantire sicurezza ai cittadini. Mentre il successo del M5S nel Sud evocherebbe un ritorno del Regno borbonico all’insegna del rifiuto dell’innovazione e della richiesta di assistenza.
DUNQUE, UN NORD proteso verso l’apertura alle sfide del mercato e della globalizzazione, di cui Salvini sarebbe il “moderno principe”, e un Sud ridestato dal suo lungo sonno solo per rivendicare il sostegno pubblico alla sua atavica indolenza. Questa interpretazione del voto è falsa.
Questo voto, sul versante economico-sociale, è stato raccolto, principalmente, su due temi: quello dell’abrogazione della Legge Fornero e quello del rancore verso la costruzione europea e i suoi vincoli finanziari.
Anzi, se una lettura va fatta del voto settentrionale, questa suggerisce che il sorpasso della Lega su Berlusconi ha le sue radici nelle difficoltà di chi subisce condizioni precarie di esistenza e della miriade di micro-imprese che da tempo avvertono i morsi della globalizzazione.
Ed è falsa, ancor più, nell’interpretazione del voto al M5S, perché trascura il rancore che le popolazioni meridionali hanno inteso manifestare verso un ceto politico nazionale che, da circa quarant’anni, ha espunto la “questione meridionale” dall’agenda e, ancor di più, verso i ceti politici locali, pure in tal caso di destra e di sinistra, che hanno barattato la loro personale promozione al proscenio nazionale con una subalternità verso gli interessi consolidati e hanno condiviso quella politica delle mance, attraverso la quale i loro elettori sono stati sospinti verso la pratica degradante delle clientele.
Ma questa interpretazione del voto non è ingenua, illustra piuttosto una duplice intenzione dell’establishment di fronte ad un risultato elettorale che sembrerebbe metterne in discussione la supremazia. La prima intenzione guarda al Pd ed appare rivolta ad orientarne l’indispensabile appoggio verso la destra: essa sembra volerlo avvertire che il suo concorso ad una Grande coalizione che includa lo stesso Salvini è più coerente con la vocazione “progressiva”, produttiva e cosmopolita, di una Moderna Sinistra di quanto lo sia un appoggio al “regressivo” assistenzialismo del M5S. La seconda intenzione, invece, costituisce una sorta di second best ed è rivolta allo stesso M5S: vuole informarlo che la sua aspirazione al governo nazionale può essere tollerata solo al prezzo di una presa di distanza dal sentore di assistenzialismo meridionale di cui il plebiscito del Sud lo avrebbe circondato.
Lega e M5S attingono dallo stesso bacino, il malessere materiale e spirituale che attraversa la società italiana (ma non solo), ma lo indirizzano verso orizzonti diversi: flax tax e reddito di cittadinanza sono, rispetti- vamente, i simboli di questi opposti orizzonti.
La flax tax, imposizione fiscale ridotta al minimo ed eguale per tutti, veicola il messaggio sociale “ti lascio un po’più di soldi in tasca e così potrai sbrigartela da solo”. Il reddito di cittadinanza, invece, rievoca ancora la solidarietà, l’idea che “la salvezza è necessariamente un affare di tutti”. Ora, per quanto discutibili possano essere queste soluzioni, non c’è dubbio che imessaggi, che esse racchiudono, alludono a concezioni opposte della società che, a loro volta, colorano diversamente l’oggettivo modo d’essere di queste formazioni politiche e l’egemonia che esse sembrano volersi contendere: danno alla Lega il color della destra, che essa rivendica, ed al M5S un color di sinistra, che esso vorrebbe, forse, scongiurare.
QUESTO, ALLORA, dà conto del “voto” dell’establishment: il rischio che quel che si è provvisoriamente addensato nel voto al M5S, magari prendendo la mano ai suoi stessi dirigenti, cominci a solidificarsi in una formazione politica che, quand’anche non si dichiari di sinistra, tuttavia dia voce a quel mondo dal quale la vecchia sinistra sembra aver fatto secessione.
E questo è anche ciò che si agita nelle odierne convulsioni del Pd: se – come da sempre vorrebbe Renzi – distaccarsi definitivamente da questo mondo e lanciare un’Opa, concorrente con quella di Salvini, sull’elettorato di Berlusconi oppure scommettere sull’apertura di un nuovo orizzonte della solidarietà.