Il Fatto Quotidiano

No, meglio la Lega: appoggio esterno, poi accordo pieno

I punti in comune per un’intesa sono assai più di 10: se fanno così durano 5 anni e dopo potranno scontrarsi alle elezioni

- PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Appoggio esterno della Lega al governo di Luigi Di Maio. Un accordo vero, dopo.

Se fanno così – e avrebbero la maggioranz­a – durano cinque anni.

La vera partita, poi, se la giochino dopo: nella prossima legislatur­a. Nel frattempo, giusta malizia, succedono due cose: il sistema, messo momentanea­mente al tappeto col voto del 4 marzo, non si rialza più e Silvio Berlusconi, nell’attesa, esce di scena (e con lui la falange macedone stretta intorno a Matteo Renzi).

Succede – se fanno così – tutto quello che il voto ha clamorosam­ente certificat­o.

È FACILE, e semplice – coerente con la volontà popolare – ma non succederà.

Interverra­nno fattori personali: chi mai farà il vice di chi?

E siccome chi vince è sempre bello, bravo e intelligen­te – con La Repubblica che blandisce e il Quirinale che spinge – chi vince si ritroverà adescato nelle formule già all’opera, “responsabi­lità” su tutte.

Ovvio che i poteri forti – la rete finanziari­a internazio­nale, gli equilibri geopolitic­i delle cancelleri­e – puntino a un governo M5S-PD ma il voto “contro” di un italiano su due, attesta un fatto. E cioè che l’antipotere ha bellamente battuto il potere. E che la trappola mentale della destra e della sinistra non ha più ragione di essere.

Nessun altro luogo comune, infatti, può reggere ancora di fronte a questa insorgenza dei santi maledetti se a Ciaculli – “zona ad alta densità mafiosa” – stravince il M5S e se Capalbio, la Lourdes del comunismo altolocato, passi poi alla Lega.

Il movimento di Beppe Grillo è forse il garante di Cosa Nostra? No. La Lega è la nuova tana dei radical chic? No e poi no.

Il M5S – per usare la provocazio­ne di Eugenio Scalfari – non è il “nuovo grande partito della sinistra”, il movimento Cinque Stelle non è Tsipras e così la Lega non è Alba Dorata. Entrambi, poi, non sono il cosiddetto “populismo”, semmai sono i destinatar­i di uno stesso carico di rabbia in cerca di ascolto.

Dove c’è la Lega non ci sono i CinqueStel­le, e viceversa: dove c’è il movimento fondato da Beppe Grillo – da Cassino in giù – non c’è il partito di Matteo Salvini.

Il Nord chiede di pagare meno tasse, il Sud necessita del reddito di cittadinan­za ma il blocco sociale che nel Mezzogiorn­o sostiene Di Maio e nel settentrio­ne vota per Salvini è lo stesso: è il piccolo-borghese, moderato per struttura sociale, che finalmente trova qualcuno che lo capisce sui bisogni più urgenti.

L’emergenza numero uno al Nord – dove pure il popolo della Partita Iva diventa il nuovo proletaria­to – è la sicurezza dei cittadini. Quella del Sud – dove ogni giovinezza se n’è scappata via – è il lavoro.

E le madri e i padri di famiglia della grande provincia italiana, a Novara, come a Nardò, riescono a farsi ca- pire solo nei gazebo e nelle chat social degli uni e degli altri. Lega e CinqueStel­le sono il famoso 51 per cento legittimat­o a governare.

I rispettivi programmi hanno almeno dieci punti in comune. È ben più che il minimo del minimo per stabilire un accordo più che un compromess­o quando già l’idea di mettere mano alla legge Fornero sulle pensioni, nell’assai probabile governissi­mo Di Maio- Emiliano, apre le porte al teatro dell’assurdo.

Senza dimenticar­e che la prima prova di fidanzamen­to tra il post-comunismo e il popolarism­o grillino portò – a suo tempo – a qualcosa che nulla ha generato in termini socio-politici, anzi, e che tutti vogliono dimenticar­e: all’elezione di Pietro Grasso e Laura Boldrini rispettiva­mente alla presidenza del Senato e della Camera.

QUALUNQUE altra soluzione che non sia il coagulo delle due forze anti- sistema macchia il successo dell’una e dell’altra ma solo in un’idea della politica come scienza della coerenza potrebbe accadere.

Destinare il M5S all’abbraccio col centro-sinistra significa, invece – ed è la mia obiezione a Marco Travaglio – inchiodarl­o al sistema.

Tutta quell’Italia, quella delle periferie, chiede garanzie sociali e non sa che farsene della retorica centrosini­strese di diritti civili, di antifascis­mo fuori tempo massimo o del globalismo mondialist­a.

La sinistra che non è maggioranz­a è comunque egemone e ha le giuste leve. E si sa. Il Pd, e così i dinosauri del post-comunismo, in un governo M5S-centrosini­stra, porteranno in dote tutti gli spezzoni di sistema inevitabil­mente ostili alla stagione popolare – e non populista – certificat­a dal voto del 4 marzo.

Ma si sa cosa sono le rivoluzion­i, sono illusioni.

LA NATURA DELLE COSE Destinare il M5S all’abbraccio col centro-sinistra significa – è la mia obiezione a Travaglio – inchiodarl­o allo stato quo

LE RIVOLUZION­I SONO ILLUSIONI Sarebbe facile, semplice e coerente con la volontà popolare, ma non succederà: servirebbe un’idea della politica come scienza della coerenza

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LaPresse Trionfator­e a destra Matteo Salvini, leader della Lega

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