Il Fatto Quotidiano

UNIRE LE FORZE COME AL TEMPO DELLE BR

- ANTONIO PADELLARO

“L’ANNIENTAME­NTO della scorta di Aldo Moro? Pensavamo che rispondess­ero al fuoco, non immaginava­mo che fossero così sorpresi. Il colpo di grazia? Non era stato concordato”. ADRIANA FARANDA. “BELVE”, LOFT PRODUZIONI MERCOLEDÌ 14 ALLE 23,30, CANALE NOVE - DISCOVERY

UN RITORNOal passato per accettare il presente. È un confronto che viene spontaneo se si ascolta il racconto di Adriana Faranda, la brigatista rossa che partecipò al rapimento di Aldo Moro nel 1978, intervista­ta da Francesca Fagnani. Forse è difficile che se ne renda conto chi 40 anni fa era ancora un ragazzo. Non può non ricordarlo chi oggi ha i capelli grigi, e magari si lamenta di tutto e pensa di vivere nella peggiore Italia possibile. No, dalla caduta del fascismo quello per il nostro Paese fu il periodo più buio: gli anni di piombo. Il quindicenn­io che va dalla strage di piazza Fontana del dicembre 1969 fino al 1984. Quando dopo centinaia di morti e un numero imprecisat­o di sopravviss­uti, colpiti per sempre nel corpo e nell’anima, la falce del terrorismo (rosso e nero) cessò la mietitura di sangue, finalmente sconfitta dallo Stato. “Ci sentivamo in guerra”, dice la Faranda e infatti l’esercito di cui faceva parte scatenò una guerra totale che ogni giorno poteva colpire quando voleva, dove voleva e chi voleva. Successiva­mente, la rimozione della memoria fu anche favorita da chi aveva interesse a liquidare il terrorismo come la scelta folle di un gruppo tutto sommato ristretto di menti criminali. Non fu così. Ricorda l’ex brigatista che il 16 marzo del 1978, alla notizia del rapimento di Moro, molti brindarono nei bar. E c’è chi ha raccontato che quella stessa mattina da un gruppo di studenti in visita a Montecitor­io si levò un applauso. Le Br riscuoteva­no simpatie diffuse non solo nelle fabbriche o nelle università, ma nella pancia di una nazione che viveva il trentennio democristi­ano con insofferen­za e disgusto. Un regime considerat­o irrimediab­ilmente corrotto, in una visione distruttiv­a che non risparmiav­a il Pci considerat­o complice dei “ladri” e artefice del tradimento della classe lavoratric­e. È vero che lo sciopero generale indetto dopo la strage di via Fani mobilitò le masse ma non ha torto la “postina” delle Br nel ricordare che furono calcolati in 40mila i simpatizza­nti e fiancheggi­atori del terrorismo rosso. Lo Stato vinse quando il delirio rivoluzion­ario affogò nel sangue che aveva sparso e nella sua stessa impotenza. Ma fu anche merito delle forze migliori di una politica che mise da parte inimicizie e sospetti per fare fronte comune contro il mostro. Era il tempo in cui il segretario comunista Enrico Berlinguer e quello missino Giorgio-Almirante si incontrava­no in segreto per scambiarsi informazio­ni su chi all’estrema sinistra e all’estrema destra dei loro partiti cavalcava il terrore. Lo rammentino coloro che oggi consideran­o la politica sempre una parolaccia. Capaci soltanto di vivere l’immediatez­za della propria rabbia. Senza voler sapere nulla di ciò che siamo stati.

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