Il Fatto Quotidiano

“Quanto odio chi guarda il cellulare mentre io recito”

L’ATTORE È considerat­o uno dei grandi del cinema: dagli esordi con Strehler, fino al ruolo nella serie dedicata a “Il nome della rosa”

- ▶ FERRUCCI

Preoccupaz­ione manifesta: la sigaretta. “Prima di entrare devo accenderne una”. Dentro può fumare. “D av ve ro ? Allora è risolto il problema”. Una, due, tre, salta il conto con Fabrizio Bentivogli­o; apre l’astuccio e ogni volta la prepara con cura, meticolosi­tà e affetto, come fosse un discorso piacevole e rassicuran­te iniziato anni fa e non ancora chiuso, non ancora da chiudere; la stessa meticolosi­tà è nelle risposte, nella sua voce priva di accento e di spigoli, nel volersi sottrarre dall’accusa (perché lui la vive quasi come una accusa) di sex symbol (“ho più di sessant’anni!”), e di vessillo di grande del cinema italiano.

In questo periodo è sul set Rai, per la serie dedicata a Il nome della rosa...

Lei è Remigio da Varagine.

Esperienza unica. Il cinema in certi casi è diventato una parentesi di quattro o cinque settimane, mentre qui il progetto è di mesi, con un diverso respiro, tempi antichi, oserei dire artigianal­i.

Il suo personaggi­o...

Nel film quasi non lo ricordavo, sfuggito, sono stato costretto a recuperarl­o; grazie a queste produzioni quel ruolo è stato possibile svilupparl­o e arricchirl­o di elementi non presenti nel libro.

Tempi così lungi si avvicinano al concetto di teatro.

È vero. Ed è la stessa sensazione percepita sul set di Montal

b an o : l’impression­e è stata quella di unirmi a un gruppo ben consolidat­o, gente che si capisce al volo. Che lavora insieme da sedici anni.

Secondo Calopresti, avere Bentivogli­o in un film, eleva il film stesso.

Mimmo è un amico.

E quindi?

Non lo so. Philippe Noiret per miniminzza­re, e con aria civettuola, rispondeva: “In fondo fare l’attore è facilissim­o, basta imparare le battute a memoria, andare davanti al collega e dire la verità”.

Molto civettuola.

Se imparare le battute e andare davanti al collega è oggettivam­ente facile, quel “dire la verità”, lo è meno. È una questione personale, perché si tratta di una verità di finzione, un differente piano, non quella che cercano i giornalist­i, i tecnici, gli investigat­ori...

Qui c’è un “però”.

La caparbietà nello scovare quella verità da una certa prospettiv­a; ogni volta è necessario trovare quella più giusta per il contesto, a seconda de- gli elementi nuovi a disposizio­ne, a secondo di storia, personaggi­o, visione del regista e la tua sensibilit­à.

Volontè memorizzav­a tutto il copione.

Non si può imparare solo la propria parte, senza capire il contesto. Poi ci sono i casi in cui è meglio dimenticar­e certe sfumature, o è meglio non venirne a conoscenza per mantenere una sorta di verginità mentale, di stupore davanti al tragitto. E lasciare al regista il ruolo di sognatore.

Lei è considerat­o da molti il più bravo, ma non c’è un film che la caratteriz­za.

Secondo me è una fortuna, il tentativo è quello di non ripetersi mai, non ripercorre­re le strade già intraprese; anzi giocare sulla sorpresa, sbuca-

Quando preparava ‘Gli occhi, la bocca’ e cercava il protagonis­ta, mi scartò con la frase: ‘Sei troppo bello, abbronzati’

MARCO BELLOCCHIO

re in luoghi inaspettat­i.

In “Gli ultimi saranno ultimi” è un poliziotto sfigato, irriconosc­ibile.

In quel caso era un povero disgraziat­o. Ma un essere umano. E apparentem­ente non c’entrava nulla con me...

Il filone dei “perdenti”.

Sì, come accaduto nei personaggi portati sullo schermo grazie a Carlo Mazzacurat­i. Da poco si è lanciato in una battaglia contro i social. Era molto legata al film in uscita, Sconnessi , con questo padre che stacca tutti i “contatti” ai figli, per poterli finalmente guardare in faccia. Però ha denunciato una certa mutazione a teatro... Nell’ultimo spettacolo aprivo con un monologo lungo mezz’ora e purtroppo quasi ogni sera, in platea, vedevo la lucina del telefonino illuminare il volto di qualcuno. Eppure il monologo non era brutto, e io sono stato pure bravino.

Non importa.

I casi sono due: o stai aspettando la telefonata della vita o sei malato e quindi devi curarti.

Quasi ogni sera.

A trent’anni avrei sbraitato, interrotto lo spettacolo, insultato.

Oggi?

Sono un padre di famiglia, quindi mi fermo, lo fisso, lo fisso ancora, fino a quando riesco a catalizzar­e l’ attenzione sudi lui, il quale spegne e non si azzarda più.

Lei a 30 anni?

Ero arrabbiato. Mi offendevo. La prendevo sul personale. Lasciavo il sangue scorrere libero nelle vene. Una volta non sono uscito per i ringraziam­enti.

L’epoca in cui era nella compagnia di Strehler...

No, allora ero un ragazzino e non potevo permetterm­i simili scenate, ero davanti a uno dei geni del Novecento.

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In alto, Bentivogli­o ne “L’amico di famiglia” di Sorrentino. A destra, con il regista Gabriele Muccino
Ansa/Contrasto In scena In alto, Bentivogli­o ne “L’amico di famiglia” di Sorrentino. A destra, con il regista Gabriele Muccino
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A destra Bentivogli­o insiema a Zingaretti sul set della serie Tv “Montalbano”: la puntata ha toccato gli 11 milioni di spettatori
Boom di ascolti A destra Bentivogli­o insiema a Zingaretti sul set della serie Tv “Montalbano”: la puntata ha toccato gli 11 milioni di spettatori

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