Il Fatto Quotidiano

La globalizza­zione e la vecchia sinistra da “ricostruir­e”

- » GIORGIO MELETTI Twitter@giorgiomel­etti

Susanna Camusso ci spiega che la sua Cgil è in piena salute, gli iscritti votano però Lega e M5S e perciò il prossimo congresso dovrà contribuir­e alla “ricostruzi­one della sinistra”. È la sintesi perfetta del marasma di un ceto obnubilato da disguidi esistenzia­li personali. Fa eccezione l’onesta ammissione di Pier Luigi Bersani: “Abbiamo visto il problema ma non abbiamo trovato la soluzione”. È un buon punto di partenza, ma la soluzione nessuno la trova perché nessuno la cerca. Lo scontro politico tra il partito della competitiv­ità (Pd-Forza Italia), quello della protezione sociale (M5S) e quello intermedio del protezioni­smo economico (Lega) elude la vera questione e parla d’altro.

Qual è il problema? Ci stiamo impoverend­o e la razza italiana, dopo 200 anni di arricchime­nto ininterrot­to, non ha le parole (se poi pensi che la scuola serva a formare tornitori ti meriti che ti crolli il mondo addosso e tu non sappia dare un nome a ciò che ti accade). Vent’anni fa il Pil nominale della Cina e dell’Italia erano alla pari. Da allora quello cinese si è decuplicat­o, il nostro non è nemmeno raddoppiat­o e, al netto dell’inflazione, è fermo. Vanno a gonfie vele le economie delle ex colonie a spese delle quali ci siamo arricchiti per secoli. Si chiama globalizza­zione, pensata per sfruttare meglio i selvaggi senza prevedere il rinculo. L’Italia è la prima vittima (l’Europa seguirà) perché penalizzat­a da un’oligarchia cleptomane di imprendito­ri e politici. Mancano sei milioni di posti di lavoro e nessuno sa come crearli.

LA GLOBALIZZA­ZIONE mette in crisi il capitalism­o stesso ma la nostra cultura provincial­e si occupa di qualche miliardo di spesa statale. L’anima sovranista incarnata da Matteo Salvini dà la colpa all’euro e vuole difendere i posti di lavoro con i dazi e lo stop all’immigrazio­ne. Il renzismo recita il mantra della competitiv­ità, bassi salari e incentivi alle imprese. Se altri popoli ci affamano producendo a costi inferiori, per tornare alla prosperità dovremmo riportare loro alla fame. Ma se la posta in gioco è chi mangia e chi no la competizio­ne porta prima alle guerre commercial­i alla Trump e poi alla guerra vera e propria, non certo alle photo opportunit­y con Marchionne. Le politiche redistribu­tive che il M5S incarna nel reddito di cittadinan­za funzionano solo nell’arricchime­nto, la redistribu­zione con redditi calanti, ammesso che abbia senso, si chiama imposta patrimonia­le. Vedete come nessuna delle proposte in campo intacchi il tema della competizio­ne all’ultimo sangue in un mercato unico nel quale Internet e il crollo del costo dei trasporti hanno eliminato l’ultima barriera, la distanza. Però proposte semplici e concrete, anche se sballate o illusorie, hanno attratto voti.

Solo la sinistra di Liberi e Uguali non ha proposto niente. Ha mandato in tv un magistrato in pensione a predicare uguaglianz­a, sano principio che senza un programma politico sembra però più adatto al televoto del Grande Fratello. Eppure solo a sinistra può sviluppars­i un pensiero in grado di indicare la strada. Il pensiero liberista non può e non vuole vedere la crisi profonda del capitalism­o. Enrico Berlinguer, 35 anni fa, propose il “governo mondiale” come sbocco della globalizza­zione (la chiamava “moto di emancipazi­one dei popoli del terzo mondo”). L’ultimo leader fu archiviato in fretta da epigoni sedicenti moderni, carrierist­i avvolti nella bandiera del conformism­o. Se le cariatidi intente da trent’anni a “ricostruir­e la sinistra”(ma attente solo alle loro poltroncin­e) togliesser­o il disturbo, l’Italia potrebbe puntare a una vera eccellenza: siamo i primi a subire i colpi della globalizza­zione, potremmo essere i primi a vedere la via d’uscita. La prima a sinistra.

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