Il Fatto Quotidiano

“Il signor Diavolo”, Pupi Avati esplora il Male come in una favola contadina

Il nuovo romanzo del regista bolognese su un ragazzino che uccide un coetaneo convinto di essere Satana

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Si torna sull’argomento: il Diavolo. Anzi, “il signor Diavolo”. Perché ai cattivi – la saggezza contadina insegna – conviene dare il giusto riguardo per non averne danni in sovrappiù. Un argomento che non vuole saperne di togliersi di mezzo, questo, se Il signor diavolo, qui inteso come il romanzo di Pupi Avati ( edito da Guanda), non si stacca dagli occhi del lettore fino all’esaurirsi della narrazione che ha due finali, due. Due proprio come due sono le corna che stanno sempre in compagnia a far specchio all’io di ciascuno di noi, il volto, e al nostro stesso doppio, la maschera con cui ci presentiam­o agli altri.

DUE FINALI che sono due botole, due bui, due angosce e due divisioni di un paio spaiato: il Cielo del buon Dio e la terra limacciosa del sottoterra in cui si ritrova il protagonis­ta – Furio Momenté, ispettore del ministero di Grazia e Giustizia – quando nell’anno democristi­ano 1952 è spedito in Veneto per uno spaventevo­le e pietoso fatto di cronaca prossimo a esplodere in un caso politico. Un ragazzino uccide con un colpo di fionda un altro ragazzino con la precisa idea di assassinar­e il signor Diavolo. Un impasto di incubi va a fabbricare un unico grumo con la miserrima vita quotidiana.

Ecco, dunque: la sacrissima particola della Prima Comunione finisce in tasca e poi data in pasto a un verro; questo stesso maiale – immondo sebbene incolpevol­e nel sacrilegio – preso a fucilate, è bruciato in una vampa di gasolio; la doppietta, a sua volta, elimina l’esecu- tore della santa opera di purificazi­one. Un caso politico. Tutto a beneficio del Pci che può ben accusare la Chiesa di un orrendo delitto: uccidere un povero ragazzo minorato additato dalla superstizi­one. Il ragazzino viene preso dai carabinier­i e l’altro, assassinat­o, è disteso sul tavolo della cucina in attesa che arrivi un dentista capace di cavare dal cadavere i denti, vere e proprie zanne suine (per non dire della sua pelle, tutta di setole porcine...).

C’è il rischio di trascinare in Tribunale una monachella, un sagrestano o chissà chi altri della Sede Vescovile di Venezia per via di certe dicerie, di ana- temi, di sabba consumati sul limitare dei canali della Laguna. E Pupi Avati che sa adoperare la parola in pagina come sullo schermo impone al lettore il fremito dello spettatore.

CI SI GUARDA intorno, e si prega, sfogliando, scena dopo scena, il precipitar­e dell’Ispettore – un inedito antieroe democristi­ano – nell’abisso della sua stessa esistenza. Capace, uno come lui, di fare prostituir­e la moglie. Capace solo di alzarsi sulle punte per farla in barba all’albergo che i lavandini della camera li mette in alto per impedire che i clienti ci facciano la pipì. Ma lui, lui che pure non è il signor Diavolo, ci riesce.

Scena dopo scena, si prega che l’inedito antieroe democristi­ano precipiti nell’abisso della sua stessa esistenza

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