Il Fatto Quotidiano

RENZI SOVRAESPOS­TO: UNA FOTO MALFATTA

- » GIANDOMENI­CO CRAPIS

Prima ancora di chiedersi cosa ne sarà di Renzi e del Partito democratic­o giunto al suo minimo storico, c’è un nodo da sciogliere, grande quanto la bersaniana vacca nel corridoio: cioè di come la potente macchina da guerra comunicati­va costruita dal giovane leader del Pd, superiore per pervasivit­à forse anche a quella approntata in passato dallo stesso Berlusconi, sia risultata non solo inefficace nel creare consenso, ma abbia addirittur­a prodotto un risultato così drammatico.

IL FATTO, da studiare nelle università come un vero caso di scuola, sarà capire cosa sia successo per determinar­e un simile tracollo, dopo anni di esposizion­e mediatica senza precedenti, di autoproduz­ione quotidiana di messaggi “protetti”, di sforzi per creare lo spin giusto ( ne ha scritto Fabio Martini ne La fabbrica della verità), di casting spietato per selezionar­e facce e corpi per la tv.

Ebbene questa “poderosa macchina per il consenso” che non ha risparmiat­o nessuno, neanche i giornalist­i, indirizzat­i per anni con veline e sms sull ’ inter pretaz ione dei fatti e il pensiero del leader, alla fine ha prodotto un’emorragia di due milioni e mezzo di voti rispetto al 2013, di cinque rispetto alle europee 2014, e messo gravemente in ginocchio un partito, la sua identità, la sua ragione sociale.

Renzi, infatti, pochi giorni dopo essersi insediato a Palazzo Chigi scatenava sui media un attacco senza precedenti, portato, a differenza dell’ex Cavaliere, in tutti gli apparati della comunicazi­one moderna, nessuno escluso (dalla tv ai social, alla radio, a Internet, ai telefonini). Solo per restare alla tv da quel momento Renzi inanellava un’impression­ate serie di presenze, non solo nelle tradiziona­li trasmissio­ni informativ­e, ma anche, ed era questa la novità più importante, in formati dove l’intratteni­mento e- ra prevalente, comparendo più volte sia a Che fuori tempo che fa che a Domenica LiveoaDome­nica In. L’assalto riguardava non solo, dunque, i telegiorna­li, dove comunque egli raramente mancava all’appuntamen­to e che gli regalavano sia in Rai che in Mediaset percentual­i mai raggiunte da un capo di governo (come testimonia­no i dati Agcom), ma, da allora e senza soluzione di continuità, anche gli spazi poco politicizz­ati del divertimen­to, da lui utilizzati più volte per parlare ai cittadini, lanciare messaggi, raccontare del suo governo. Rimane esemplare la partecipaz­ione a Un mondo da amareal fianco della Clerici la sera del 18 dicembre 2014. L’anno 2016, con il referendum costituzio­nale, avrebbe rappresent­ato il momento clou di una mobilitazi­one elettorale permanente, capace di produrre uno stress comunicati­vo rimasto ininterrot­to fino a oggi, salvo per pochi mesi dopo la sconfitta del 4 dicembre. Com’è accaduto, c’è da chiedersi, che questa permanent campaign poderosa e inedita non abbia prodotto i frutti sperati, anzi tutt’a ltro? Azzardiamo un paio di spiegazion­i, che diamo al netto delle pur necessarie valu- tazioni politiche sul personaggi­o. La prima è che Matteo Renzi lanciava la sua offensiva proprio quando la comunicazi­one politica in tv cominciava, ingenerand­o disaffezio­ne e distacco nella gente, una sua inesorabil­e parabola declinante: una sfasatura strategica non da poco rispetto all’esprit du temps per la sua crociata mediatica; la quale, a sua volta, scatenava altra comunicazi­one avversa e altre chiacchier­e nelle tv da lui meno frequentat­e ( vedi La7), generando un fatale cortocircu­ito negativo.

LA SECONDA È CHE, come sanno gli specialist­i della materia, la tv e i media non bastano sempre da soli a fare la differenza. Essi si nutrono di velocità e, come scriveva Paul Virilio, sono nemici della durata. E la sovraespos­izione, come in una fotografia malfatta, produce una cattiva immagine. È la vecchia storia della television­e e del consenso: la prima non garantisce il secondo, perché il consumo di essa avviene sempre in un contesto, che è quello che alla fine conta.

Eco diceva che se un poveraccio vede una pubblicità fatta di ricchezze possibili e luoghi da sogno alla fine, piuttosto che comprare la saponetta, può darsi che s’incazzi con chi lo sottopaga e lo sfrutta. La chiamava “decodifica aberrante”, variabile essenziale per capire le comunicazi­oni di massa. Ecco, forse è quello che è accaduto in questi anni a Matteo Renzi.

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