Licenziata per il monopattino: “Ingiusto, ma deve restare a casa”
Prese un gioco rotto, il nuovo articolo 18 la condanna
Èstato ingiusto licenziare Lisa, l’operatrice ecologica che a giugno ha perso il lavoro poiché accusata dai suoi superiori di aver “rubato” un monopattino gettato tra i rifiuti. Tuttavia la donna non potrà riavere il suo posto in azienda, perché in casi come questi la legge non prevede più il diritto al reintegro.
LO HA STABILITOil Tribunale di Torino, pronunciandosi sul licenziamento che durante la scorsa estate ha suscitato grande clamore. Di fatto, i giudici hanno dato ragione a Lisa ma, applicando l’articolo 18 così come modificato nel 2012 dalla legge Fornero, le hanno riconosciuto solo un indennizzo di 18 mensilità. Solo una piccola consolazione per chi a 41 anni, con due figli, dovrà comunque convivere con la disoccupazione.
L’episodio risale a circa nove mesi fa. La lavoratrice, il cui nome completo è Aicha Elizabethe Ounnadi, era da 11 anni dipendente della Cidiu Servizi, azienda pubblica dell’igiene urbana dei paesi a Ovest di Torino. Quando ha visto il monopattino mezzo rotto buttato nella spazzatura lo ha preso e portato a casa, motivando il suo gesto con il desiderio di fare un regalo ai suoi figli. Per l’azienda è comunque un furto, perché appropriarsi di oggetti trovati tra i rifiuti è vietato dal regolamento. Quell’az i o ne , quindi, le è costata il licenziamento immediato. Secondo i vertici Cidiu, nei locali aziendali era presente un cartello sul quale era riportato a chiare lettere il divieto. Lisa, sempre stando alla versione dell’impresa, non si sarebbe limitata a trasgredire quella regola, ma avrebbe anche rimosso il cartello: un episodio ritenuto una grave insubordinazione.
La donna, con gli avvocati Mara Artioli e Paola Bencich, ha fatto ricorso e il Tribunale ha stabilito che la punizione del licenziamento è stata eccessiva. Il problema però è che, da quando nel 2012 l’allora ministra Elsa Fornero ha messo mano allo Statuto dei lavoratori, c’è solo il diritto al risarcimento.
IL REINTEGRO, infatti, scatta solo in due casi: quando il fatto contestato è del tutto inventato dal datore di lavoro (e in questo caso, per quanto irrisorio, è accaduto davvero) oppure quando ci sono norme che prevedono sanzioni più blande in episodi di questo tipo (per esempio una multa o una sospensione). “Stiamo valutando se opporci all’ordinanza – spiega l’avvocato Artioli –. Intanto posso dire che la nostra assistita è molto provata da questa storia”. La vicenda è stata commentata su Facebook da Nicola Fratoianni, segretario dimissionario di Sinistra italiana: “Che vergogna. Una donna di 41 anni che rimane senza lavoro per una fesseria del genere”.