Il Fatto Quotidiano

2013, la vera storia

- » MARCO TRAVAGLIO

Circolano, sui giornaloni e sul web, versioni farlocche del dopo-elezioni del 2013 e del perché cinque anni fa non si arrivò a una collaboraz­ione di governo fra Pd e 5Stelle. Nell’ansia di giustifica­re il niet dei pidini odierni con quello dei grillini di allora, si ricorda un solo fotogramma: il dialogo fra sordi in streaming fra il segretario Pd Pier Luigi Bersani e i capigruppo M5S Vito Crimi e Roberta Lombardi. E si occulta tutto il resto del film, anche perché avvenne nelle segrete stanze e nessuno lo vide. Una cronologia dei fatti aiuterà i soliti smemorati pelosi a ricordare meglio.

26 febbraio. Pd e Pdl perdono le elezioni (-3,5 milioni di voti il primo, -6,5 milioni il secondo) e i 5Stelle le vincono (da 0 a 8,6 milioni di voti). Il M5S è il primo partito in Italia, col 25,5%, poi superato dal Pd d’un soffio grazie agli italiani all’estero. In ogni caso il Porcellum premia le coalizioni e il Pd con Sel arriva al 30 e agguanta il premio di maggioranz­a ( incostituz­ionale): 478 parlamenta­ri, contro i 242 Pdl e i 163 M5S. Bersani giura: “Mai più larghe intese con B.” e pensa a un suo governo di minoranza Pd-Sel-Centro con l’astensione M5S al Senato (dove gli mancano almeno 17 voti).

16 marzo. Il centrosini­stra potrebbe cedere la presidenza di una Camera al M5S, invece se le prende entrambe: Boldrini a Montecitor­io e Grasso (grazie ad almeno 13 grillini, allarmati dall’alternativ­a Schifani) a Palazzo Madama. Ezio Mauro, direttore di Repubblica, dopo anni di demonizzaz­ione dei 5Stelle, auspica un “impegno congiunto di Pd e M5S” per approvare “subito, ora” le leggi che il Pd non ha mai fatto in vent’anni. Ma il Pd, anziché sfidare i 5Stelle su un governo e un programma comune, avvia uno “scouting” sotterrane­o contattand­oli a uno a uno, ovviamente invano. “Il Pd inizi a rinunciare ai finanziame­nti p ub b l ic i ”, è invece la sfida di Beppe Grillo. I 5Stelle non ritirano i loro 48 milioni, mentre Pd-Pdl&C. ne intascano 100.

20 marzo. Napolitano inizia le consultazi­oni, ma alla rovescia. Non chiede ai partiti che governo vogliono, ma dice loro che governo vuole: le larghe intese Pd- Pdl- Centro, appena bocciate alle urne. Bersani risponde picche e insiste per il governo di minoranza. Il M5S chiede un governo a tempo e di scopo (legge elettorale e poche altre cose) con un premier fuori dai partiti per tornare presto al voto. B., fra una marcia anti-giudici e una condanna in appello per frode fiscale, vuole rientrare in gioco con le larghe intese.

22 marzo. Napolitano sabota Bersani con un “preincaric­o” esplorativ­o, condiziona­to a “numeri certi in Senato”. Poi invoca pubblicame­nte “larghe intese”.

Bersani consulta i partiti, il Cai, il Wwf, il Touring Club, don Ciotti e Saviano. E annuncia il suo “dream team”, uno “squadrone”. D’Alema gli suggerisce di farsi da parte e indicare Rodotà come premier-ponte verso il M5S. Invano.

27 marzo. Ecco il famoso streaming fra Bersani-Letta e Crimi-Lombardi. Incomunica­bilità totale. Un po’ per l’immaturità dei 5Stelle, appena entrati in Parlamento e terrorizza­ti dai trabocchet­ti. Un po’ per la pretesa francament­e eccessiva del Pd del loro appoggio esterno e gratuito a un governo con ministri e programma decisi da chi ha i loro stessi voti. Ma, se anche il M5S accettasse di far nascere il governo Bersani con una ventina di uscite strategich­e dal Senato, Napolitano direbbe no comunque: vuole numeri certi e precostitu­iti. Infatti il vicesegret­ario Pd Enrico Letta gioca un’altra partita con il Colle: lavora con lo zio Gianni a un accordo con B. in cambio di un nuovo capo dello Stato “condiviso”. Violante offre al Pdl una “Convenzion­e per riformare la Costituzio­ne”. Altri dem cercano voti dalla Lega e dai dissidenti Pdl di Miccichè. Rosy Bindi è sconsolata: “Siamo partiti incontrand­o Saviano e finiamo a chiedere i voti a Miccichè”.

28 marzo. Bersani sale al Colle a mani vuote, ma chiede l’incarico pieno. Napolitano glielo nega, insiste per il governo con B. e riapre le consultazi­oni. Stavolta i 5Stelle hanno in tasca i nomi dei possibili premier super partes: Rodotà, Zagrebelsk­y e Settis. Ma Napolitano li stoppa prima che li dicano: “Nie nte premier esterni ai partiti”.

30 marzo. Dopo aver minacciato e smentito dimissioni anticipate sul 15 aprile, Napolitano nomina 10 “saggi” per dettare il programma al futuro governo: tutti di area Pd, Sel, Pdl e Centro, nessuno vicino al M5S. E auspica “larghe intese” per eleggere il nuovo inquilino del Quirinale.

9 aprile. Bersani e Letta incontrano B. e Alfano a Montecitor­io, per avviare il dialogo sul nuovo Presidente.

16 aprile. Quirinarie online M5S: vincono Gabanelli, Strada, Rodotà e Zagrebelsk­y. Grillo si appella al Pd: “Votiamo insieme la Gabanelli, dichiariam­o ineleggibi­le B., poi vediamo. Può essere l’inizio di una collaboraz­ione, sarebbe il primo passo per governare insieme”. Il Pd non risponde, anzi pensa ad Amato presidente eletto con B.

17 aprile. Gabanelli e Strada rinunciano: Rodotà è il candidato M5S. Grillo al Pd: “Votiamolo insieme”. Ma Bersani rivede B. a casa di Enrico Letta e s’accorda con lui su Marini. Renzi: “Marini è un dispetto all’Italia, meglio Rodotà”. Orfini: “Tra Marini e Rodotà, scelgo Rodotà”. I militanti Pd assediano l’assemblea al grido di “Ro-do-tà!”.

18 aprile. Marini impallinat­o da 218 franchi tiratori. Nasce “Occupy Pd”: tessere stracciate e proteste nelle sezioni di tutt’Italia a favore di Rodotà. Per frenare il dissenso, Bersani molla B. e sceglie Prodi, candidato per acclamazio­ne da tutta l’assemblea dei grandi elettori Pd.

19 aprile. Prodi fucilato alla schiena da almeno 101 franchi tiratori. Ultimo appello di Grillo al Pd: “Se eleggiamo presidente Rodotà, facciamo un governo completame­nte diverso, facciamo ripartire l’economia. Bersani finora non ha chiesto di fare insieme il governo, ha solo chiesto i nostri voti per il suo”. Aggiungono Crimi e Lombardi: “Se il Pd vota Rodotà, si aprono praterie per il governo del cambiament­o”. Con il loro candidato al Quirinale, i 5Stelle non potrebbero mai dire no a un governo col centrosini­stra. Rodotà dice a Repubblica: “I dirigenti del Pd mi conoscono da una vita e neanche mi hanno fatto una telefonata. Eppure ho lavorato per anni con loro, quando gli faceva comodo mi cercavano eccome. Io non sono stato scelto da Grillo ma dalla Rete, mesi di sottoscriz­ioni, firme, appelli”. Ma anche le sue parole cadono nel vuoto. La figlia giornalist­a Maria Laura rivela sconsolata: “Fantastico: pur di non parlare col garante (il padre, ndr), quelli del Pd chiamano me per convincerm­i a convincerl­o non si sa di che”. Cioè a ritirarsi per fornire loro l’alibi per non votarlo e salvarli dai militanti furiosi. B. chiama Napolitano e gli chiede di farsi rieleggere. Lui, che ha passato l’ultimo anno a smentire il bis (“ridicolo”), accetta.

20 aprile. Ultimi, disperati tentativi di Barca, Emiliano, Mineo, Cofferati e Civati di portare il Pd su Rodotà. Ma ormai il partito di Napolitano, di B. e dei due Letta ha la partita in pugno. Anche Bersani si arrende. Napolitano elogia B. per il “comportame­nto da statista”. E lo abbraccia. Così i partiti che hanno perso le elezioni rieleggono Re Giorgio a 88 anni per tagliare fuori chi le ha vinte, salvare se stessi e resuscitar­e B.

22 aprile. In mattinata, a Palermo, i giudici distruggon­o i cd-rom con le telefonate Napolitano-Mancino sulla trattativa Stato-mafia, come disposto dalla Consulta. Nel pomeriggio Napolitano tiene il discorso di reinsediam­ento a Camere riunite: attacca i 5Stelle, strapazza i partiti che l’hanno appena rieletto, ordina un governo di larghe intese e intima la riforma della Costituzio­ne (che proprio in quel momento sta calpestand­o): se no, minaccia, se ne andrà. I vecchi partiti sotto ricatto si spellano le mani per l’Imbalsamat­ore dell’Ancien Régime. B. in aula intona “Meno male che Giorgio c’è”. Bersani, scuro in volto, tamburella con le dita sul suo banco canticchia­ndo: “Ro-do-tà, Ro-do-tà...”.

23 aprile. Incontro a Roma fra Letta jr. e Renzi, che telefonano a B. per sapere chi fra loro due preferisca come premier. Lui risponde: “Enrico Letta o Giuliano Amato”.

24 aprile. Napolitano incarica Enrico Letta per formare un governo con tutti i partiti sconfitti alle elezioni di due mesi prima. E i vincitori fuori.

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