L’unico boom è dei lavoratori presi in affitto per qualche ora
Nel 2017 aumentano del 25% gli interinali, record da 15 anni
■ Negli anni della riforma del lavoro non sono saliti solo gli impiegati a termine (+13,5%) nel 2017, ma pure quelli “in somministrazione”: nessun diritto, assoldati tramite agenzie per poche centinaia di euro
Negli anni del Jobs act, quello degli occupati a termine (+13,5% nel 2017) non è l’unico record di un mercato del lavoro che perde diritti. Quello del lavoro “in somministrazione”– che tra 2016 e 2017 ha vissuto una crescita del 25%, il valore più alto degli ultimi 15 anni, ha spiegato ieri l’Istat – è forse il caso più emblematico. Sono lavoratori che si affacciano per la prima volta sul mondo del lavoro o in cerca di una nuova occupazione dopo aver perso il posto durante la crisi. Come Rita, operaia che dopo il licenziamento per delocalizzazione ha trovato solo contratti in somministrazione o a termine. Lavora non più di dieci giorni al mese per circa 300 euro. Contratti di pochi giorni: uno dal lunedì al venerdì, l’altro per il fine settimana. Le chiamate, “missioni” in gergo, dalle imprese che la utilizzano in prestito dall’agenzia interinale, arrivano di giorno in giorno. Non c’è diritto al riposo. Anzi, a volte è costretta al turno pomeriggio-sera e subito dopo quello mattutino: impensabile con un contratto diretto.
IL GIRO D’AFFARI dei lavoratori presi in affitto dalle imprese tramite le agenzie di somministrazione è per pochi, sono meno di un centinaio di agenzie interinali riconosciute dal ministero del Lavoro. Il fatturato nel 2016 ha raggiunto gli 8 miliardi e si avvia, secondo le stime di Assosomm (l’associazione di categoria) a toccare il nuovo record di 10 miliardi nel 2017. Questo tipo contratti è stato introdotto dal Pacchetto Treu nel 1997 (governo Prodi), tenuto in vita e affinato dalle varie riforme che si sono susseguite ( Maroni- Biagi del 2003, Fornero nel 2012 e così via). Nell’ultimo rapporto sui lavoratori dipendenti dell’Inps, quelli in somministrazione a fine 2016 erano 624.559, un dato in costante crescita (+28,5% dal 2012). Tra il primo trimestre 2016 e il secondo trimestre 2017, le posizioni in somministrazione sono aumentate del 50,7%.
Lavoratori in affitto, precari e poveri: nel 91% dei casi hanno un contratto a tempo determinato con l’agenzia, ma l’utilizzo effettivo delle imprese passa per contratti brevissimi, nel 33,4% dei casi durano un solo giorno. Persone che difficilmente superano la soglia di povertà, che lavorano mediamente 118 giorni l’anno per una retribuzione media annuale di 8.364 euro (dati Inps), 8 euro lordi l’ora. Diverso è il caso dei lavoratori in somministrazione con contratto a tempo indeterminato che riescono a lavorare e a guadagnare più del doppio, ma non certo tutto l’anno per un totale di 266 giorni e una retribuzione annuale di 19.924 euro. Comunque non uno stipendio da nababbi. Secondo il contratto collettivo di riferimento, questi lavoratori dovrebbero godere degli stessi diritti, per inquadramento e retribuzione a parità di mansione, dei colleghi dipendenti diretti delle imprese utilizzatrici. Eppure i dati dicono altro. Quelli Inps mostrano che i somministrati lavorano meno, specie se a termine, e guadagnano anche meno per giornata lavorata, soprattutto se a tempo indeterminato dove la differenza di reddito giornaliero passa da 75 a 91 euro, una differenza annua di retribuzione di 5.100 euro, che rimarrebbe anche nel caso in cui i somministrati lavorassero quanto i dipendenti diretti. Il mancato riconoscimento della parità di trattamento, sebbene non legale, è una pratica comune. Nelle vertenze della Nidil Cgil, tra le cause più frequenti c’è proprio la mancata applicazione del contratto nazionale che comporta differenze sullo stipendio e sugli istituti differiti e indiretti (tredicesima, ferie, permessi, Tfr).
PICCOLE O GRANDIaziende, la storia non cambia. In Sevel (gruppo Fca) oltre alle condizioni economiche vengono disattesi tutti gli altri diritti: dal riposo alla malattia, fino ai diritti sindacali, di assemblea e sciopero. Lavoratori costretti a svolgere molti straordinari con bassi salari di partenza. Così la chiamata può arrivare anche mezzora prima del turno di lavoro e i permessi da diritto si trasformano in mera concessione aziendale. In questo modo, a parità di costo del lavoro, le imprese possono esternalizzare le proprie relazioni industriali, segmentando ancora di più la forza lavoro. Il fenomeno non riguarda solo i settori in cui ci si aspetterebbe di più il lavoro usa e getta (nella grande distribuzione o nella ristorazione si colloca il 6 e 4% dei lavoratori in somministrazione) ma anche l’industria con un 46% ( dati Inail, terzo trimestre 2017) e un’incidenza molto forte, 16% del totale dei lavoratori in affitto, nel settore dell’informatica e servizi alle imprese.
I LAVORATORIdipendenti della Agenzie di somministrazione ingrassano le file dei working poor e allo stesso tempo le casse delle agenzie stesse che col tempo hanno potuto aumentare il proprio ruolo da protagoniste nel mercato del lavoro, sostituendosi, col favore delle scelte politiche, ai centri per l’impiego lasciati senza investimenti, personale e formazione. Solo che le prime perseguono il profitto mentre i secondi hanno l’obiettivo di soddisfare un interesse generale. Utilizzando i dati dei versamenti a Forma Temp, il fondo per la formazione e il sostegno al reddito dei lavoratori in somministrazione, uno studio pubblicato in questi giorni dal sindacato Cobas e curato da Francesco Iacovone spiega come il fatturato annuo delle agenzie sia passato da 3,5 a 5,27 miliardi tra il 2012 e il 2016, un aumento del 49,6%. Ma si tratta del fatturato di chi versa a Formatemp, il dato complessivo è ben più elevato, come ammette la stessa Assosomm.
Alla luce di questi dati, converrebbe riaprire il dibattito sulla privatizzazione del mercato del lavoro, sul ruolo e sul potere di queste agenzie ma anche delle imprese che pagano commissioni per affittare manodopera mentre chiedono sgravi e riducono i salari.
Come cambia il mercato
I somministrati guadagnano meno dei dipendenti diretti e la gran parte sfiora la povertà, mentre i centri per l’impiego restano abbandonati