Il Fatto Quotidiano

L’autoreggen­te

- » MARCO TRAVAGLIO

Nessuno poteva ragionevol­mente sperare che il Pd in Direzione trovasse una direzione, impresa improba tentata invano dai suoi 5 segretari in 10 anni (Veltroni, Franceschi­ni, Bersani, Epifani, Renzi). Ma c’era almeno da aspettarsi che il p ol it b ur o pidino individuas­se le ragioni dell’ennesima disfatta elettorale, dopo quelle – mai analizzate – delle Amministra­tive 2016, del referendum 2016 e delle Amministra­tive 2017. Invece nessuno s’è nemmeno posto la domanda, per paura di trovare una risposta e di doverne poi trarre le conseguenz­e: e cioè il ritiro a vita privata di tutto il gruppo dirigente, renziano e non. Meglio continuare a oscillare fra due tentazioni: quella demenziale di farla pagare agli italiani, così imparano a diventare improvvisa­mente “pop uli sti”, a non capire le grandi riforme dell’ultimo quinquenni­o e a non apprezzare il boom economico che ne è seguito; e quella infantile di interrompe­re la partita appena iniziata e portar via il pallone, così se non giocano loro non gioca nessuno. Più illuminant­e del cosiddetto dibattito c’è solo la foto di gruppo con tutti i presunti e aspiranti leader che guardano nei rispettivi smartphone­mentre parla l’inutile Martina, il Signor Nessuno scelto come segretario reggente da un non-partito pieno di non-idee e di non-prospettiv­e (tutti, tranne Nicola Latorre, caduto comprensib­ilmente in letargo). Del resto, perché mai qualcuno dovrebbe ascoltarlo?

Stiamo parlando dell’ex ministro dell’Agricoltur­a, già “giovane turco” e sempre giovane vecchio, che dalla sinistra Pd si convertì al renzismo il 4 dicembre 2016, con lo stesso tempismo di quegl’italiani che il 25 aprile 1945 uscirono di casa in camicia nera. Più che un reggente, un autoreggen­te. Uno che i giornaloni si sentono in dovere di definire “persona normale”, a scanso di equivoci. Uno che dice “opposizion­e” e tutti applaudono, fanno sì sì col capino, poi si precipitan­o davanti alle telecamere a dire: “Se Mattarella chiama, io ci sono”. Per un governo di scopo o del presidente, di larghe intese o di minoranza, di destra o del M5S, di tregua o di balneazion­e: purché non si rivada a votare, sennò addio poltrona. Renzi invece, parlandone da vivo, annuncia: “Mi dimetto, ma non mollo”. Potrebbe aggiungere “Mangio, ma digiuno”, “Parto, ma resto”, “Ti abbraccio, ma ti prendo a calci”. Tipico di un pugile suonato che si crede ancora il padrone del Pd perché i neoeletti li ha nominati tutti lui e dunque sono suoi per sempre (come se l’altra volta i bersaniani, i lettiani e i prodiani non fossero diventati tutti renziani): vediamo fra un mese quanti gliene restano, dopo il controesod­o.

Lunedì Repubblica ci ha garantito la lettura di un’intervista ad Axel Honneth – filosofo della Scuola di Francofort­e, già assistente di Habermas – che si conclude con un pianterell­o sulla scuola e queste parole: “Magari il figlio di un elettore della Lega, se impara bene l’inglese a scuola e partecipa a degli scambi, farà scelte diverse”. Ora questa frase – così stupida, offensiva e classista – ci rimanda, grazie a un’idiozia particolar­e, al problema più generale dell’intellettu­ale progressis­ta (I.P.) come fattore di impoverime­n- to del dibattito pubblico. Laddove un tempo c’erano i grandi partiti del movimento operaio, oggi infatti è tutta “sinistra”, una cosa che pare non definirsi nell’urto degli interessi, nel dispiegars­i dei concreti rapporti di produzione e nelle concrete vite che generano, ma nel senso di sé che l’appartenen­za assegna ai suoi aderenti. Il paternalis­mo ottocentes­co, peraltro, non riesce più a mascherare il disprezzo che l’I.P. nutre verso “l’altro da sé” e che è l’unico collante che tiene insieme il suo clamoroso non capire un cazzo col bisogno di farlo sapere al mondo scrivendo e parlando. Gli I.P. si pensano internazio­nalisti e sono turisti; vorrebbero difendere il lavoro ma hanno solo le parole che gli ha fornito l’accademia del padrone; s’imbottisco­no d’antifascis­mo folclorist­ico per non vedere il “tecnofasci­smo” su cui il Pasolini vivo (non quello che hanno santificat­o da morto) li aveva pur messi in guardia. Spariranno certo, come tutto e tutti, ma il danno che hanno arrecato al progresso in nome del progressis­mo non sparirà con loro.

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