Ora il postino suonerà solo una volta (e a giorni alterni)
LA MOSSA Il colosso pubblico estende a tutto il territorio la consegna a giorni alterni che fa infuriare gli utenti, ma potenzia la “posta pregiata” per arginare le perdite del servizio universale e il ritardo sull’e-commerce
Sempre meno servizio postale, sempre più colosso finanziario e della logistica. Poste italiane, oggi guidata da Matteo Del Fante, tenta l’ultima carta per arginare una crisi – quella delle lettere – che considera inarrestabile. Nei giorni scorsi ha chiuso l’ennesimo accordo con i sindacati per riorganizzare il servizio. L’intesa è passata in sordina ma è dirompente. I primi a essere preoccupati sono Comuni e postini, che si trovano di fronte alla settima ristrutturazione in 10 anni, ma i sindacati hanno dato il loro assenso, convinti sia inevitabile e in cambio degli investimenti promessi dall’azienda.
L’ACCORDO firmato il 2 marzo scorso estende a tutto il territorio nazionale la consegna a giorni alterni, o meglio cinque ogni due settimane (anziché i cinque a settimana previsti dalle norme Ue): lunedì, mercoledì e venerdì in una settimana e martedì e giovedì in quella dopo. Dieci giorni al mese su trenta. Il processo era partito a ottobre 2015 e si è ampliato nel 2016 e 2017 con l’obiettivo di coprire oltre cinquemila Comuni e il 25% della popolazione. La scelta, accompagnata da tagli di filiali e postini, non è stata indolore, tra ritardi nelle consegne, proteste dei sindaci e disagi dei clienti, con rivolte in molte zone. Ora verrà e- stesa a tutto il territorio entro il 2019 (eccetto Roma, Milano e Napoli). Un processo di razionalizzazione che vedrà l’uscita di 15 mila lavoratori, tra esodi incentivati e ricollocamenti, a fronte di 6 mila tra assunzioni e stabilizzazioni.
L’accordo è contestato dai sindacati di base, come i Cobas, che accusano Cgil, Cisl, Uil e le sigle firmatarie di non aver coinvolto i lavoratori – l’intesa è stata firmata col voto quasi unanime di 97 Rsu in rappresentanza delle oltre duemila totali – su un piano considerato senza prospettive per clienti e lavoratori, che rischiano l’aumento dei carichi di lavoro. Vengono infatti tagliate oltre 4 mila “zone di consegna”, allargando quelle vecchie. L’accordo però prevede anche l’implementazione di una “linea business” con consegne nel pomeriggio, anche nei weekend. In pratica la posta ordinaria verrà consegnata a giorni alterni, mentre la posta “a firma”, raccomandate e pacchi, beneficerà di nuovi orari e turni. Secondo l’azienda e i sindacati firmatari questo servirà a migliorare il servizio, specie nel segmento più redditizio. Il cliente riceverà con meno frequenza le lettere, ma potrà ricevere le raccomandate nel pomeriggio quando è a casa evitando l’avviso di giacenza.
LA SCOMMESSA è notevole. Pur essendo quotata in Borsa, Poste è tenuta ad assicurare la copertura del servizio postale universale in ogni parte del Paese, affidato fino al 2026, in cambio del quale incassa dallo Stato 260 milioni l’anno. Nonostante i sussidi il servizio è in perdita cronica, visto che i costi superano di gran lunga i ricavi, in costante calo come i volumi. Nel 2008 Poste consegnava 6,4 miliardi di “pezzi”, scesi a 2,7 lo scorso anno. Nel 1998 il recapito rappresentava ancora il 60% dei ricavi del gruppo. Nel 2003 il segmento assicurativo è divenuto il principale business. Oggi Poste Vita e l’asset management, con i suoi 24 miliardi sono diventati la prima fonte di ricavi, seguita dai servizi finanziari (5,2 miliardi). Il recapito vale 3,6 miliardi e ha chiuso il 2017 in “rosso” di 517 milioni, 81 più del 2016. Durante il regno di Massimo Sarmi, mentre diventava un colosso finanziario, il colosso pubblico tagliava filiali e forza lavoro ottenendo “l’effetto Alitalia”: al taglio dei costi è corrisposto una perdita di ricavi senza ridurre il deficit del settore postale visti gli scarsi investimenti.
Oggi l’unico trend in crescita è quello delle spedizioni dei pacchi. I ricavi del segmento, pur rappre- sentando meno di un terzo del totale, sono saliti nel 2017 del 6,7%. Si è passati dagli 800 mila pacchi consegnati nel 2014 ai 34 milioni del 2017. Dieci anni fa il trend era chiaro, ma le Poste privatizzate non hanno fatto subito quel che Deutsche Post in Germania ha fatto con Dhl, diventando un colosso dei trasporti. Non ha rinunciato ai sussidi del servizio universale senza però sfruttare a pieno l’enorme rete logistica garantita dalla sua presenza capillare.
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L’AUMENTO dei business dei pacchi è dovuto soprattutto alle commesse di Amazon, triplicate in un anno. Il colosso dell’e-commerce è entrato direttamente nel settore solo negli Usa, e per ora non ha intenzione di farlo in Italia vista la rete di cui gode Poste. L’8 febbraio scorso, parlando di Amazon alla cerimonia per i 20 anni dell’Antitrust, Del Fante – nominato nel marzo 2017 – si è lasciato andare: “Si pone un tema di medio termine: con volumi importanti di crescita questi signori stanno acquisendo una posizione dominante. Siamo come la rana che aiuta lo scorpione ad attraversare il fiume. Siamo indietro 3-4 anni nello sviluppo del modello Amazon rispetto al resto d’Europa...”. Per questo ha presentato un piano incentrato nella crescita del settore. Le vecchie poste rimangono residuali. Ai postini non resta che diventare i nuovi corrieri.