Il Fatto Quotidiano

“I killer di via Fani sempre più gelidi E non dicono tutto”

Sandra Bonsanti In qualunque altro Paese non sarebbero così disinvolti. Il mistero dei misteri è capire perché possono permetters­elo”

- » STEFANO CASELLI

Una spy story, un legal thriller, una serie tv Fox. A questo potrebbe pensare un ragazzo di vent’anni (ma anche di trenta e più) guardando gli ( ottimi) speciali che in questi giorni i media dedicano ai 40 anni del sequestro di Aldo Moro e della strage della sua scorta in via Fani. Invece è storia vera, carne viva spesso ancora da suturare. E tornano i soliti, pluridecen­nali, interrogat­ivi (basta fare un giro sui social per rendersene conto). È giusto che quella storia sia raccontata dai carnefici? La domanda probabilme­nte è mal posta. Interrogar­e anche i carnefici, in ogni caso protagonis­ti, è inevitabil­e. Colpisce semmai la distanza tra le testimonia­nze di questi giorni e quelle rese dalle stesse persone trent’anni fa a Sergio Zavoli, autore della monumental­e La Notte della Repubblica, programma entrato nella storia della tv italiana. Ne parliamo con Sandra Bonsanti, giornalist­a di lungo corso, che quei fatti li raccontò in diretta. Bonsanti, sono passati 30 anni da La Notte della Repubblica e oggi i protagonis­ti sembrano molto diversi, più freddi nel rievocare le loro azioni. È d’accordo? Sì, ho avuto anch’io questa netta impression­e, tutti siano rimasti colpiti dall’apparente – sempre che sia reale – freddezza del racconto dei quattro principali esecutori della strage di via Fani. Viene da chiedersi ancora oggi, ma chi sono? Il mistero dei misteri è come possano muoversi con tanta disinvoltu­ra. In qualunque altro Paese non dico che sarebbero an-

In questa storia non regge il tema della classe operaia sfruttata che si ribella. Moro non c’entra. È altro

cora in carcere (anche se in molti sì), ma certo non sarebbero in una casa comoda a parlare, a riflettere e ad essere intervista­ti. Non si tratta di essere forcaioli, è una semplice riflession­e sul fatto che la storia del sequestro Moro non è per niente chiara: se prendiamo per buono tutto quello che dicono, la lotta in fabbrica – che a suo modo è anche affascinan­te – la storia di Moro non torna per nulla. Aldo Moro non rappresent­ava nulla nella storia delle Brigate Rosse. Facile dire che colpire Moro fosse più semplice perché Andreotti abitava in centro. Sappiamo bene che l’ostaggio poteva essere trovato e invece non accadde, perché? Chi ha fatto in modo che quello fosse l’epilogo?

Quindi non si iscrive al partito di molti autorevoli inquirenti per cui tutto quello che c’è da sapere sulle Br si

sa?

Non sulla storia del sequestro Moro. E scusate se è poco. Poteva bastarne uno in qualche modo manovrato. Ne basta uno e la storia di molti non cambia, ma quella di tutti sì. Ricordo di averne parlato spesso con Andreotti, gli chiedevo del memoriale Moro, il cui originale non è mai stato trovato. Lui rispondeva: “Quando lo troveremo sapremo a chi lo hanno dato”. Non regge il racconto di una classe operaia sfruttata che si ribella. Moro non c’entra. Moro è altro.

Torniamo ai protagonis­ti. Moretti parla al presente, Morucci insiste ancora sul parallelo con la guerra partigiana, Fiore ride come chi rievoca avventure liceali, Gallinari è glaciale. Perché non c’è mai un’autocritic­a? È sempre un rivendicar­e con malcelata soddisfazi­one le proprie azioni. Immaginiam­o queste persone dire di loro stessi “Sì, siamo stati dei gelidi e vigliacchi assassini”. Ci sembrerebb­e fantascien­za, no? Non so che dire, non so trovare una risposta. Forse per sopravvive­re hanno avuto bisogno di credere di aver fatto la storia, ma in realtà hanno fatto solo la storia del crimine. Il loro racconto della strage di via Fani è agghiaccia­nte nella freddezza, come lo è ammazzare a sangue freddo una persona con cui si è di fatto convissuto per 55 giorni. Da una parte le vittime e dall’altra i carnefici. Forse se trovassimo un sinonimo di vittime per includere anche i carnefici tra i “soccombent­i” di una grande e collettiva storia sbagliata, faremmo un passo avanti? Potrebbe, ma loro non molleranno mai il loro racconto storicizza­to e giustifica­zionista. E poi non dimentichi­amo, ci sono persone a piede libero che sanno sicuramen- te moltissime cose in più di quanto hanno voluto raccontare. Perché? Io non lo so, ma so che in questa storia a questo Paese, come per quella della mafia, è mancato il pentito “istituzion­ale”. Fino a che non esisterà, le ferite rimarranno aperte. Cosa può capire un ventenne oggi da queste rievocazio­ni tv a 40 anni da via Fani? Potrebbe ricavare strumenti utilissimi per comprender­e la complessit­à della democrazia, su quante cose possano muoversi attorno a ciò che riteniamo consolidat­o. Le nostre vite, i nostri diritti, sono potenzialm­ente sottoposti a minacce continue. I ragazzi di oggi non solo molto spesso non sanno niente, ma non hanno più nemmeno gli strumenti adeguati per capire. La democrazia, il Paese, la società non sono un tweet.

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Ansa 55 giorni Moro, rapito il 16 marzo ’78, fu trovato morto il 9 maggio
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