Il Fatto Quotidiano

Il polo di Nola annega nei debiti: così Punzo tira a fondo le banche

- » FABIO PAVESI

Il sogno è durato oltre un quarto di secolo. Ora si è inabissato e con lui il suo fondatore, quel Gianni Punzo che da semplice venditore di stoffe in piazza Mercato a Napoli, era divenuto il simbolo dell’imprendito­ria di successo del Mezzogiorn­o. L’eclissi oscura per sempre l’80enne Punzo, amico e socio d’affari di Luca Cordero di Montezemol­o nella Ntv (e non solo) venduta pochi giorni fa agli americani, ma la nube nera da tempo si è estesa alle banche.

Già perché se fu di Punzo l’idea visionaria di costruire dagli anni Ottanta in poi il più grande centro commercial­e e interporto del

Sud in quel di Nola, sono state le banche a metterci i quattrini. E ora dopo lunghi anni di crisi della galassia del Cis ( il polo del commercio all’i ngrosso), dell’I nt e rporto campano e del centro servizi Vulcano Buono, tutte creature dell’ex venditore di biancheria, gli istituti di credito dovranno aspettare almeno 15 anni per sperare di riavere indietro (forse) i soldi. Non pochi.

LA SOLA CISFI, la holding finanziari­a che sta in cima alla catena societaria che include il Cis, l’interporto campano e la società che gestisce l’immenso centro commercial­e Vulcano Buono, poggiava ancora nel 2015 su ben mezzo miliardo di debiti, di cui 432 milioni solo con le banche. Sul Cisfi si riverberan­o i debiti delle controllat­e. Un’area integrata alle porte di Napoli da 5 milioni di metri quadrati, mille aziende e oltre 9 mila addetti nei tempi d’oro. Di fatto la più grande fabbrica di lavoro del Sud Italia. Costruita sotto la regia del Cavaliere del Lavoro Punzo, socio con Montezemol­o anche nel fondo Charme dell’ex presidente di Confindust­ria, a partire dagli anni 80 con la prima pietra del Cis, poi del polo logistico e infine del centro commercial­e progettato da Renzo Piano. Peccato che quel progetto faraonico sia stato messo in piedi con il contributo massiccio delle banche, Unicredit e Mps in prima fila. Il solo Interporto campano è arrivato a cumula- re 280 milioni di debiti bancari; Vulcano Buono siede da anni su 133 milioni di prestiti.

Tutte le aziende vivono di credito bancario. Ma il problema è poter sostenere quel peso, pagare gli interessi e restituire il capitale. Cosa che dal 2012 non è più avvenuta nel regno di Punzo, oggi defenestra­to da ogni incarico. Da anni infatti, almeno dal 2011, il reticolo delle sue società cumula solo perdite. Il Cisfi ha prodotto perdite per oltre 100 milioni con un’accelerazi­one crescente. L’Interporto, dove fino al 2011 era direttore generale l’attuale ministro Carlo Calenda, pupillo di Montezemol­o, perde mediamente oltre 20 milioni l’anno. Per non parlare del Vulcano Buono, mai in grado di fare utili. Un’emorragia continua, che mette in luce il rapporto malato con le banche. Basti pensare che il solo Interporto campano nel 2016 fatturava 30 milioni perdendone 23 e con debiti che sono aumentati al punto tale da valere oltre 10 volte il fatturato. La controllan­te Cisfi ha visto i ricavi scendere da 120 milioni nel lontano 2011 ai 65 milioni del 2015. Come si fa a pensare di poter onorare e restituire i colossali prestiti bancari se il fatturato si dimezza, non ci sono flussi di cassa? Ovviamente non si può. E allora è accaduto negli ultimi anni qualcosa che la dice lunga sul rapporto privilegia­to che Punzo aveva con il mondo delle banche. Gli istituti di credito, dopo anni di trattative, a partire dal 2012 hanno chinato il capo. Via a un maxi piano di ristruttur­azione del debito, omologato dal Tribunale di Nola a fine 2016. Per non far fallire la ex creatura mastodonti­ca, ma dai piedi d’argilla, dell’o tt u a ge n a ri o Cavaliere del Lavoro, le banche hanno concesso la restituzio­ne di oltre 300 milioni di loro crediti tra ben 15 anni quando il calendario segnerà la data del 2033. Un tempo biblico per debiti in buona parte scaduti da un pezzo. Non solo, ma il tasso è stato abbassato dal 6% all’1,5%. Un trattament­o di favore pena il collasso del distretto di Nola. E così quel debito non pagato da Punzo diventa sofferenza nei conti delle banche. Mps aveva iscritto a settembre del 2017 l’interporto Campano come incaglio per 97 milioni e Vulcano Buono per 48 milioni. E questo solo per Rocca Salimbeni. Unicredit, dove per anni Montezemol­o è stato vicepresid­ente, è capofila del pool bancario che ha finanziato Punzo: è esposto tuttora per 146 milioni e ha firmato l’oneroso piano di ristruttur­azione dei debiti del complesso nolano.

SI DIRÀ CHE è colpa della crisi e le banche non possono fare altrimenti. Si concede tempo perché l’alternativ­a è chiedere il fallimento per i debiti non pagati, perdendo così tutto il denaro prestato. Già ma da dove arrivano quei prestiti? Risalgono al 2007-2008. In un colpo solo UniCredit e Mps concessero mutui per quasi 300 milioni alle società di Punzo. Una cifra sproposita­ta a fronte dei pochi flussi di cassa che venivano prodotti. Forse che i buoni rapporti intessuti da sempre da Punzo abbiano avuto un peso nella magnanimit­à delle banche?

Ora però da pochi giorni l’imprendito­re è di nuovo un uomo d’oro. Dalla vendita della quota in Italo agli americani ha staccato in un colpo solo un assegno plurimilio­nario. Chissà se lo userà per restituire parte dei debiti, evitando che le banche debbano aspettare altri 15 anni per riottenere il loro denaro.

Tutto è perdonato

Mps, Unicredit & C. si sono arrese: gran parte dei soldi li rivedranno (forse) tra 15 anni. Ma intanto l’imprendito­re incassa con Ntv

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