Il Fatto Quotidiano

Reddito di cittadinan­za: come farlo funzionare

- » STEFANO FELTRI

Finora tutto il dibattito sul reddito di cittadinan­za proposto dal Movimento 5 Stelle ha riguardato le coperture - tra i 15 e i 29 miliardi annui, a seconda delle stime - e la condiziona­lità abbinata al sussidio (formazione e possibilit­à di rifiutare non più di due offerte di lavoro). La domanda principale rimane sullo sfondo: può riuscire a sradicare la povertà garantendo a tutti almeno 780 euro al mese?

Le questioni sui soldi vengono dopo, si può partire con quelli che ci sono e poi si aumenta la dotazione man mano che si riformano gli altri ammortizza­tori sociali. Se confrontia­mo la proposta di reddito di cittadinan­za dei cinquestel­le con l’esperienza recente del Rei, il reddito di inclusione sociale varato dal governo Gentiloni, vengono alcuni dubbi.

LA POVERTÀ. L’ipotesi su cui è costruito il reddito M5S è che la povertà dipenda dall’assenza di lavoro e che quindi, una volta trovato un posto tramite il centro per l’impiego, il problema sia risolto. Secondo le stime di Claudio Lucifora per il Cnel, nel 2014 c’erano in Italia 2,4 milioni di working poor tra i lavoratori dipendenti e 756.000 tra gli autonomi, cioè persone che lavorano ma con un salario sotto lo soglia di povertà relativa, definita come i due terzi del reddito mediano. Queste persone sono esposte al rischio di scivolare nella disoccupaz­ione o nell’inattività ma, soprattutt­o, la fragilità finanziari­a impedisce loro di affrontare situazioni critiche, improvvise o croniche, come una malattia, un genitore anziano da accudire a casa, la perdita del lavoro del coniuge. Dare un’integrazio­ne fino ad arrivare a 780 euro al mese, cambia poco della loro condizione, soprattutt­o se non c’è gradualità nel togliere il sussidio una volta trovato il lavoro. Rimarranno sempre sul ciglio della povertà. Se poi le cause del disagio sono struttural­i - alcolismo, droghe, scarsa pianificaz­ione familiare – limitarsi a dare soldi senza prendere in carico le singole situazioni diventa puro assistenzi­ali- smo da Prima Repubblica. Una specie di pensione di invalidità rafforzata.

COO RDINA MENTO. Il Rei, che oggi ha una dotazione di soli 2 miliardi di euro ed è pensato contro la povertà assoluta, prevede un coordiname­nto molto complesso di vari pezzi della Pubblica am- ministrazi­one per fare la “valutazion­e multidimen­sionale” del povero da aiutare. Stefano Sacchi, da anni studioso della povertà e tra gli ideatori del Rei di cui ora si occupa dall’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, spiega: “I servizi sociali che prendono in carico i beneficiar­i del Rei rispondono ai 338 ambiti, che COSTI E TEMPI. Il 20 per cento della dotazione complessiv­a del Rei (2 miliardi) è destinato alla macchina organizzat­iva. Nel piano dei cinquestel­le, ci sono soltanto 2 miliardi per la riforma dei centri per l’impiego che si aggiungono ai 15 per il sussidio. In percentual­e è l’ 11 per cento. Difficile pensare che ci siano economie di scala tali da permettere di costruire progetti personaliz­zati per 10 milioni di persone usando impegnando una quota così bassa del totale degli stanziamen­ti.

Anche senza arrivare agli 11 miliardi di euro annui tedeschi per le politiche attive del lavoro, riformare i centri per l’impiego è un progetto di ampio respiro dai tempi incerti, il rischio è che non ci sia quel livello di efficienza minimo necessario a evitare che il reddito di cittadinan­za diventi una misura assistenzi­ale con poche condiziona­lità e molti costi amministra­tivi.

FURBI. Il progetto dei cinquestel­le va poi aggiornato. Usa come parametro di valutazion­e della titolarità l’Isee, un indicatore reddituale, mentre serve come minimo l’Isre che ha anche una componente patrimonia­le, altrimenti il reddito di cittadinan­za diventerà un sussidio agli evasori che dichiarano poco ma possiedono molto. Anche le sanzioni per le mancate comunicazi­oni amministra­tive vanno inasprite, nel Rei sono molto più dure che nel disegno di legge M5S del 2013. Un’altra incongruen­za del programma 5Stelle da sanare è l’annuncio di usare le risorse del Rei per dare subito sgravi fiscali alle famiglie mentre si ricostruis­ce da zero il reddito di cittadinan­za. Sarebbe una follia.

Di fronte a queste complessit­à gestionali, inevitabil­i anche con la massima gradualità, verrebbe quasi da rispolvera­re le idee più radicali di un vero reddito di cittadinan­za incondizio­nato, pagato anche ai ricchi (che ne rimborsano poi il grosso tramite l’Irpef). Ma purtroppo o per fortuna i cinquestel­le si sono impegnati soltanto a offrire un reddito minimo condiziona­to. Se avranno la possibilit­à di governare.

Ai centri per l’impiego I soldi previsti dalla proposta 5Stelle

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