Perroni salva le vite degli altri mettendole in romanzo
Lo scrittore torna al suo genere con “Entro a volte nel tuo sonno”
Si legge – ci si perde – e in quello smarrirsi ci si ritrova. Come nel verso di Dante, nel Paradiso: “S’io m’intuassi, come tu t’inmii”.
È il libro di tu e io, Entro a volte nel tuo sonno( La Nave di Teseo, euro 12,00).
IL SUO AFFASCINANTE autore, Sergio Claudio Perroni, adopera una lingua che è un diamante e offre un testo che ripercorre – goccia dopo goccia, tanto è alchemico – la porzione indenne di assoluto cui ciascun “io”, parlando al proprio “tu”, attinge per dire, di- re comunque, come nel calore del segreto e nel brillio dell’intimità.
Tutte le parole da cercare sono qui. Il voler dire per come si deve dire è qui, in questo libro: “vorrei poterti suonare, fare di te una musica e ascoltarla con le palpebre abbassate per rivederti”. Lancillotto, oggi, non saprebbe come cavarsela con Ginevra senza Entro a
volte nel tuo sonno, e così lo stesso conte Vlad, Dracula, non avrebbe come attraversare l’oceano dei secoli per arrivare a Mina senza i ripensamenti di luce del sole scomparso qui descritti.
La critica letteraria ha già e- saltato questo nuovo libro di Perroni, giustamente salutato come nuovo a ogni genere di scrittura. Ed è una poetica già avviata nel suo precedente titolo – Il principio della carezza
– sostenuta da un lavorio coerente in qualità e spessore con altri due potenti romanzi dello stesso autore. Li ricordiamo:
Renuntio Vobis, il dialogo, ricostruito con le Sacre Scritture, tra la verità del Sacro e il vecchio Papa che rinuncia a se stesso (di stretta attualità visto il ritorno nella scena pubblica di Benedetto XVI), e Nel Ven
tre, la storia dei soldati di Ulisse nascosti, nella notte precedente alla “sorpresa”, den-
tro la pancia del Cavallo di Troia.
Ben più che “prosa poetica” – benché intervallato da madrigali – è Entro a volte nel tuo sonno. È certamente l’opera di un artista, ma di una poesia che la metrica se la ricava dalle cicatrici sulla pelle della Luna, dalla risonanza a un qualcosa che ha partecipato al tempo, all’essere e al divenire (senza lasciarsene alterare) e da quel fenomeno, infine, “che sarebbe più sensato chiamare amore”.
Non è l’endecasillabo a fare del fa be r, un poeta, ma lo sguardo. Ciascuno di noi ha un film dentro, un romanzo, un’altra vita. Si tratta di stare a guardare, e viverne. Ed è questa la semina di Entro a volte nel tuo sonnonei suoi let- tori se uno di questi – ho rubato la conversazione telefonica al gate dell’ae roporto
– con ancora questo libro tra le dita, prende il coraggio a quattro mani e chiama la donna cui riversa tutto di sé per dirle, e dirle comunque: “Parli d’altro e taci di me, con te stessa”.
LO SGUARDO di Perroni genera nelle pagine i film, i romanzi e le vite altrimenti evaporate nel tic tac dell’ordinario. E, invece, il giallo del semaforo lampeggia al ritmo del valzer, perché come si prende fuoco, o freddo, si può sorgere a vita – per caso – e così si alza lo sguar- do, si bussa al cielo e arriva tu: “È uno spreco assistere al tuo viso e non farne un dipinto”.
Il libro di tu e io, la creazione di Perroni, è l’assoluto terso dello sguardo.
Sono gli occhi, infatti, “ad avere ogni cosa lasciandola dov’è”. Ogni cosa – “un’altra piccola te da divorare nella distesa di te”– serba in sé il gesto ampio che racchiude un paradiso.
Anche se l’aldilà non c’è, un qualcosa che c’è, si farà: per stare insieme, oltre l’infinito. E fa rumore di te – la vita – per come viene da dire a chi si ama.
Ben più che prosa poetica: poesia che ricava la metrica dalle cicatrici del fenomeno chiamato amore