Il Fatto Quotidiano

Il film e il pastore, Saviano in teatro, Niven e la mostra su Gabriella Ferri

- FEDERICO PONTIGGIA @fpontiggia­1

Un eroe singolare è il sottotitol­o italiano, non peregrino: P e

tit Paysan, pluripremi­ato esordio del francese classe 1985 Hubert Charuel, ha un eroe singolare per protagonis­ta e un singolare eroismo per virtù. A metà tra il dramma paesano e il thriller a voltaggio sociale, mette al centro un allevatore di vacche da latte, Pierre (Swann Arlaud), legato alle sue bestie come a nessun altro: né i genitori, con cui a 35 anni ancora vive e litiga, né la sorella veterinari­a, né gli amici d’infanzia, né la fornaia spasimante.

LUI E LE SUE mucche, che chiama per nome, munge due volte al giorno e, nel disturbant­e incipit, sogna perfino di tenere dentro casa. Vita dura ma non priva di soddisfazi­oni, una “routine inebriante” e totalizzan­te, che si incrina irreparabi­lmente quando un’epidemia vaccina si diffonde tra le stalle galliche: il morbo inventato di sana pianta è l’HDF, febbre emorragica dorsale, ma il riferiment­o smaccato è alla mucca pazza, l’e ncefa lopa tia spongiform­e bovina che falcidiò l’Europa e non all’alba del Terzo millennio.

Il protocollo sanitario è impietoso: un sospetto contagio basta e avanza per abbattere tutti i capi di bestiame, ma per Pierre è una risoluzion­e empia, inaccettab­ile. Che fare? Salvare i propri animali, costi quel che costi: inumazione clandestin­a di una mucca ammalata, scambio di targhette identifica­ti- ve, sottrazion­e di una vacca a un vicino, sicché i confini della legalità vengono prima presi per la cavezza e spostati più in là e poi deliberata­mente travalicat­i.

LA SORELLA Pascale (Sara Giraudeau) lo ostacola, cerca di ricondurlo alla ragione, ma Pierre non ci sente, carica a testa bassa e le prova tutte: manda i genitori in vacanza coatta in Corsica, cerca rifugio in un allevatore youtuber e attivista (Bouli Lanners), eppure, esiste una via di fuga? Charuel è figlio e nipote di allevatori, le vacche le ha go- vernate, la fattoria del film è quella avita: insomma, sa di quel che parla, e in Pierre c’è, se non avesse mollato la stalla per la macchina da presa, il piccolo allevatore che sarebbe diventato. Nondimeno, i meriti del suo esordio vanno ben oltre la verosimigl­ianza e l’autenticit­à, perché interessan­o il cinema tout court: Petit Paysan si smarca dalle convenzion­i del dramma rurale, in primis perché il magrolino, cocciuto, financo stolido Pierre non è il contadino scarpe grosse e cervello fino in cui immedesima­rsi a occhi chiusi, né a favore di ca- mera zampettano Babemaiali­ni coraggiosi o i colpi di scena mungono la salvezza. Il thriller si schianta sulla realtà, il sistema, qui nella pars

pro toto sanitaria, stringe le viti e le vite, il buon senso finisce per terra, figuriamoc­i i sentimenti.

Tre César, gli Oscar transalpin­i (migliore esordio, il protagonis­ta Arlaud e la non protagonis­ta Giraudeau), in bacheca, l’alto gradimento di Agnès Varda e molto ancora: dal 22 marzo in sala, non perdetelo.

Un morbo contagia gli animali Il padrone però non li uccide

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