Il Fatto Quotidiano

CALENDA TRA LANDINI E XI JINPING

Il ministro sogna un Pd che protegga il lavoro ma decida alla svelta come i cinesi

- » STEFANO FELTRI

Ogni aspirante leader cerca di estendere quella che considera la propria ricetta di successo: Matteo Renzi voleva essere il sindaco d’Italia, Carlo Calenda sembra voler governare prima il Pd e poi il Paese come ha fatto con il suo ministero dello Sviluppo economico, con un misto di sostegno alle imprese, resistenza alle multinazio­nali e, soprattutt­o, decisioni rapide con effetti misurabili e immediati.

Mercoledì sera Calenda ha partecipat­o a uno dei seminari che l’editore Giuseppe Laterza organizza spesso in casa editrice intorno ai libri che pubblica. Si parlava di Utopia Sostenibil­e, dell’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini, un programma di governo per tutti i partiti, l’agenda degli obiettivi Onu per il 2030. Ad ascoltare e discutere, tutto l’establishm­ent di quel che resta di una cultura progressis­ta di centrosini­stra: da Romano Prodi a Giuliano Amato, da Luciano Canfora al governator­e di Bankitalia Ignazio Visco, c’era pure Eugenio Scalfari (nessuno di area Cinque Stelle, però). Se Giovannini offre un’u t o pi a , pragmatica, ambientali­sta, ambiziosa, da cui il centrosini­stra può ripartire, Prodi osserva che tutti gli obiettivi che Giovannini indica “sono sollecitat­i dal basso ma pare che si possano raggiunger­e soltanto con un forte intervento dall’alto”, non più con il lento e faticoso dialogo tra cittadini, intellettu­ali, partiti, corpi intermedi come i sindacati e i governi. Il “nuovo modello” di successo, osserva Prodi, non è più occidental­e: è Xi Jinping, il presidente cinese che abolisce i mandati quinquenna­li per poter rimanere presidente a vita e così si emancipa dai pericoli della “veduta corta”, per citare Tommaso Padoa- Schioppa, che condanna i nostri politici a pensare alle prossime elezioni invece che alle generazion­i a venire.

Calenda si candida oggi a offrire una risposta ai dubbi di Prodi (e magari domani anche alla segreteria del Pd, chissà). Il ministro propone una democrazia decidente, preoccupat­a più dei risultati che di rispettare pesi e contrappes­i: “Sbagliato continuare a pensare alle grandi riforme”, bisogna individuar­e un obiettivo, stabilire una cornice decisional­e e poi governare perché “le rifor- me passano attraverso la gestione”. Non va “riformata la scuola” una volta per tutte, ma va cambiata la catena decisional­e del mondo della scuola in modo che ministero, presidi e insegnanti possano adattarsi a un contesto che cambia in pochi anni, è il suo esempio.

Questo approccio di governance, più che di governo, non ha però l’obiettivo rottamator­e del renzismo, Calenda non vuole liberarsi delle zavorre per favorire le eccellenze, anzi. Il ministro vuole un “governo più forte in un sistema democratic­o per garantire investimen­ti e protezione”. Si è iscritto al Pd, dice, per contrastar­e quell’egemonia culturale che ha fatto passare l’idea che il “liberismo è di sinistra”, come scrivevano nel 2007 Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, gli stessi che ancora oggi chiedono di “proteggere i lavoratori, non i posti di lavoro”. Aver applicato questo slogan, sostiene Calenda, “è una delle ragioni per cui la sinistra sta sparendo”. Chi rischia il posto all’Embraco, in Piemonte, non sarà mai ricollocat­o in una delle start up che aprono nella stessa zona: da ministro, questo, Calenda lo ha capito, cercando di risolvere le crisi industrial­i sul territorio, Alesina da Harvard ancora no. La sfida per il Pd modello Calenda è “tenere insieme l’utopia sostenibil­e e l’Alcoa”, la sensibilit­à ambientale da Ventunesim­o secolo e i posti di lavoro generati dall’industria nel Ventesimo.

Il modello di leadership che Calenda offre al Pd cui si è appena iscritto prevede un potere decisional­e quasi da Xi Jinping per applicare un’agenda che piacerebbe a Maurizio Landini, l’ex segretario della Fiom. Se questo approccio piacerà alle correnti dem, ai militanti e, prima o poi, agli elettori, è ancora da capire.

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