Il Pd: “Democrazia diretta”. Gli iscritti decidano l’alleanza
REFERENDUM Martina cita l’Spd, che ha consultato la base sul patto con la Merkel
L’articolo 27 dello statuto del Partito democratico permette consultazioni interne. Ed è sufficiente che a richiederle sia anche il solo segretario
Tra i primi ragionamenti di Maurizio Martina da reggente del Pd – affidati a un’intervista con Repubblica – c’è un’e nu nc i az i on e chiara: “Noi non facciamo patti con nessuno”, né con i 5Stelle né col centrodestra. Ma ci sono anche un paio di contraddizioni piuttosto significative. Al Pd, dice Martina, “servono strumenti di democrazia diretta”. E li cita, sebbene in modo generico: sicuramente non sono come quelli del Movimento 5 Stelle, “un modello con grandi lacune”, ma “penso piuttosto alla Spd, che ha costruito alcuni passaggi chiave con la partecipazione diretta degli iscritti”.
Il fatto è che l’e se m pi o scelto da Martina smentisce implicitamente l’assunto di partenza (quello del Pd comunque all’opposizione).
Il partito socialdemocratico tedesco infatti a fine febbraio ha sottoposto ai suoi tesserati la decisione politicamente più delicata e rilevante: partecipare o meno alla grande coalizione con la Cdu di Angela Merkel. Un’opzione che peraltro era stata chiaramente scartata dall’Spd durante la campagna elettorale. Proprio il 4 marzo, gli iscritti socialdemocratici hanno dato il via libera all’alleanza di governo con il 66% dei voti a favore.
Martina al contrario sul governo ha già deciso: nessuna apertura, il Pd non partecipa a maggioranze. Ma quale occasione migliore ci sarebbe stata per adottare quegli “strumenti di democrazia diretta” invidiati ai compagni tedeschi?
SECONDA contraddizione: il segretario ad interim del Pd forse non lo sa, ma per mettere in pratica il suo auspicio di democrazia diretta non avrebbe dovuto inventarsi proprio niente di rivoluzionario: questi strumenti sono già previsti dallo statuto del partito. Precisamente all’articolo 27, che disciplina i referendum interni. Stabilisce, al comma 2: “È indetto un referendum interno qualora ne facciano richiesta il segretario nazionale ( che oggi è proprio Martina, ndr), ovvero la Direzione nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, ovvero il trenta per cento dei componenti l’Assemblea nazionale, ovvero il cinque per cento degli iscritti al Partito Democratico”. E soprattutto, al comma 6: “Il referendum interno può essere indetto su qualsiasi tematica relativa alla politica e all’organizzazione del Partito Democratico. Il referendum può avere carattere consultivo o deliberativo. Qualora il referendum abbia carattere deliberativo, la decisione assunta è irreversibile, e non è soggetta ad ulteriore referendum interno per almeno due anni”. Dunque l’auspicio del neo segretario era già realizzato ben prima del suo insediamento: nel Pd gli iscritti, volendo, possono essere interpellati su qualsiasi tema, e lo si può fare per ottenere una semplice indicazione politica (carattere consultivo) o una decisione vincolante (carattere deliberativo).
IN ATTESAdi aprire il Pd alla democrazia interna e affidarsi al parere degli iscritti, Martina attende le indicazioni del presidente della Repubblica: “Noi non siamo indifferenti agli indirizzi che Mattarella intenderà dare a questa legislatura. Ascolteremo”, ha detto ieri sera in un’intervista al Tg3.
Come a dire: il rifiuto di ogni possibile impegno di maggioranza è comunque condizionato all’evolversi degli eventi, e alla capacità persuasiva del Capo dello Stato.
Ad interim Martin Schulz e dirigenti dell’Spd. Maurizio Martina, segretario del Pd Ansa Il referendum interno può essere indetto su qualsiasi tematica relativa alla politica e all’organizzazione del Partito democratico STATUTO PD ARTICOLO 27