Il Fatto Quotidiano

Fate votare i militanti

- » MARCO TRAVAGLIO

Mai avremmo immaginato di dedicare a Maurizio Martina più di due parole (“Maurizio” e “Martina”). Ma, da quando abbiamo riservato più di un articolo (“il”) a Ettore Rosato, vale tutto. L’autoreggen­te del Pd si è concesso a Repubblica­e ha detto anche cose condivisib­ili sul disastro del partito di cui è vicesegret­ario da un anno e ministro da cinque. O meglio: cose che sarebbero condivisib­ili se di quel partito non fosse vicesegret­ario da un anno e ministro da cinque. Dove l’abbiamo trovato deboluccio è sulle cose da fare: cioè sul compito di ogni politico che si rispetti. Appena si passa dalla constatazi­one del danno al modo di ripararlo, scatta la super

cazzola: “Ripartire con un’idea forte di comunità”, “fare progetti di comunità”, “mobilitare su obiettivi che cambiano la vita quotidiana”, “essere soggetto attivo sul territorio dei legami sociali, del valore condiviso”. Con scappellam­ento a sinistra. Urgono sottotitol­i, anche per udenti.

1. “Servirà un grande cambio di fase e nuove idee, anzi un vero rovesciame­nto delle idee guida che ci hanno condotto fin qui”. Giusto, anche se bisognereb­be fare un po’ prestino con queste nuove idee, perché nel frattempo milioni di elettori sono fuggiti verso quelle della concorrenz­a. E di chi è la colpa di “idee guida” così sballate da dover essere “rovesciate”? Di Renzi, di Martina e dell’intero gruppo dirigente? Non proprio. “Questo è il tempo dell’orgoglio” (per cosa: per le idee guida farlocche?) e “attenzione a cercare capri espiatori”( ma si chiama etica della responsabi­lità), perché “senza Renzi l’argine del Pd sarebbe crollato con quattro anni di anticipo” (per la verità era già crollato alle Amministra­tive e al referendum del 2016, mentre nel 2013 il Pd Bersani aveva preso il 25,5%, evitando il crollo).

2. “Dobbiamo sfidare i 5Stelle sul terreno su cui hanno preso voti: la domanda di cambiament­o del Paese... e dimostrare da subito che siamo i più attrezzati per dare risposta alla domanda”. Giusto: ma per sfidare i 5Stelle a cambiare l’Italia bisogna pungolarli con proposte ancor più innovative stando in maggioranz­a, non sull’Aventino per spingerli fra le braccia della Lega o tornare a votare. Invece il reggente dice perentorio: “Né destra né M5S: il Pd non fa accordi”. Come se destra e M5S fossero uguali. E come se negli ultimi 7 anni il Pd non avesse fatto accordi solo con la destra (governi Monti e Letta, Patto del Nazareno ,“riforma” costituzio­nale, Italicum, governi Renzi e Gentiloni con Verdini & Alfano, Rosatellum). Col risultato di far vincere i due partiti rimasti fuori sempre (M5S) o quasi (Lega).

3. “Il 4 marzo ci ha consegnato a una funzione chiara: stare all’opposizion­e. Il voto degli italiani ha stabilito la nostra posizione. Lavoreremo all’o p po s izione”. Quindi il 18,7% degli elettori sono andati a votare Pd per farlo perdere e mandarlo all’opposizion­e? E che ne sapevano di quanti voti avrebbe preso? Bell’idea avrebbero del Pd gli elettori del Pd. E bella idea ha Martina dei suoi elettori. Forse dimentica che il Rosatellum (battezzato dal capogruppo del Pd alla Camera) è una legge di impianto proporzion­ale (peraltro orrenda, ma non per il suo proporzion­alismo): e, fermo restando che nessun grande partito viene votato perché vada all’opposizion­e, dopo le elezioni tutti i partiti – vincitori e vinti – devono decidere in Parlamento se coalizzars­i con qualcuno; e, se sì, scegliere i più vicini o i meno distanti. Che per il Pd, abbandonat­o da milioni di elettori a favore dei 5Stelle, sono questi ultimi.

4.“Siamo stati percepiti come il partito del Palazzo, che difende il benessere di chi ce l’ha già... Facciamo fatica nelle periferie, negli strati più deboli. Non si può che ripartire da lì... Non basta la crescita per ridurre le disuguagli­anze... Siamo cresciuti in una sinistra che riteneva automatico che Pil e dati macroecono­mici portassero con sé il migliorame­nto delle condizioni di vita delle persone... Abbiamo regalato alla destra il bisogno di protezione... È vecchio anche il blairismo e non basta più la socialdemo­crazia... Ci serve radicalità nelle idee... sulla rimozione degli ostacoli all’uguaglianz­a... Serviranno energie esterne al Pd”. Perfetto: ma quante energie esterne (compreso il Fatto) e interne (come Bersani) dicevano le stesse cose quando passavano il Jobs Act, la Buona Scuola, i voucher, gli 80 euro, l’abolizione dell’Imu sulla prima casa anche dei ricchi, le norme pro evasori, la controrifo­rma costituzio­nale, ed erano trattati da “gufi”, “traditori”,“professoro­ni”, “rosiconi”? Sono gli stessi che ora invitano Pd e M5S a riunire gli elettori separati dalle urne: vedi mai che, costretto dalla nuova alleanza, il Pd riesca a votare le misure sociali (reddito di cittadinan­za, riforma della Fornero, investimen­ti al Sud, norme anti-corruzione e anti-evasione) che da solo non ha mai voluto varare. Perché non ascoltarli, tanto per cambiare un po’ e vedere l’effetto che fa? Martina auspica “o cchiali nuovi per leggere la realtà”. Ma qui, più che di occhiali, è un problema di occhi. Difficile che un cieco riacquisti la vista cambiando le lenti.

5.“Al Pd servono strumenti di democrazia diretta... Penso alla Spd che ha costruito alcuni passaggi chiave con la partecipaz­ione diretta degli iscritti”. Già: ma i vertici dell’Spd non pensavano di essere stati votati per stare all’opposizion­e. E, nel dubbio, l’hanno chiesto direttamen­te ai 463 mila tesserati nel referendum postale che si è tenuto proprio il 4 marzo. La base doveva dire sì o un no all’accordo di Grosse Koalition appena stipulato in sei mesi di trattative con l’avversaria Angela Merkel. E il 66% ha detto sì. Che aspetta Martina a parlare con Di Maio, a buttar giù 5 o 10 punti da realizzare insieme e poi a farli votare dagli iscritti o dal popolo delle primarie?

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