RIPETERE SEMPRE “RESPONSABILITÀ” È SOLO RETORICA
ALLEANZE A parole tutti i leader raccolgono la richiesta del Quirinale di pensare ai cittadini, ma rifiutano di fare quell’analisi della situazione del Paese che serve a ricucire il rapporto slabbrato tra elettori ed eletti
La cronaca politica di questi giorni ( e chissà per quanto ancora) è concentrata su alcuni punti: i “diritti di precedenza” per ottenere l’incarico di governo dal Quirinale; le “g ra nd i manovre” per l’elezione dei vertici delle Assemblee parlamentari; le mosse del Pd, che da principale sconfitto rischia di essere ago della bilancia. E poi gli appelli del presidente Sergio Mattarella alla “responsabilità verso i cittadini e verso il Paese” e al “no agli egoismi, per il bene di tutti”.
Dai media questi appelli sono presentati col rilievo che merita la fonte, quella del Colle più alto. E tuttavia sono considerati alla stregua di atti dovuti, un po’ scontati. Quanto alla politica, ormai è prassi consolidata che anche i moniti della più alta carica dello Stato vengano trattati come tweet che incidono poco e per breve tempo. Servono per esercitare la ginnastica preferita del ceto politico sul Quirinale: il “tiro della giacchetta”. Mentre il Colle – in questa fase – deve limitarsi a tracciare una linea di fondo, magari per buttare la palla in calcio d’angolo se le cose dovessero ulteriormente complicarsi.
Comunque sia, tutti gli schieramenti politici dichiarano che sapranno essere “responsabili”. È il caso, innanzitutto, dei due vincitori del 4 marzo, i primi a riprendere – con sfumature diverse – l’invito del capo dello Stato alla responsabilità, sia pure per rigirarlo alle altre forze (sconfitte), con l’obiettivo che permettano loro di governare. Da ultimo anche il Pd si è detto pronto a “garantire apporto istituzionale”, responsabilmente.
L’uso e abuso della parola “responsabilità” può alla fine logorarla e fiaccarne il significato. Una “logica” conseguenza, quando l’impegno alla responsabilità viene da gruppi l’un contro l’altro armati, ciascuno ben determinato a ottenere e imporre la soluzione per sé più conveniente. Il tutto dopo mesi percorsi da attacchi reciproci. È vero, ormai ci siamo abituati: ma ciò non significa ignorare che il riferimento “a targhe alterne” al valore delle Istituzioni e al bene comune è allo stesso tempo causa e segnale del senso di “irresponsabilità” che pervade l’area della politica e l’azione della classe dirigente del Paese. I soggetti che animano il panorama politico e istituzionale vivono se stessi pressoché esclusivamente come “parte”. E il contesto in cui agiscono è concepito come “territorio proprietario”, riserva esclusiva. Con l’effetto di trasformare le competizioni elettorali in beauty contest, tutti i ma
quillage ei look più allusivi o ingannevoli sono concessi o, addirittura, rappresentano la materia stessa dell’offerta politica. Di qui un’evaporazione del- la realtà con un muoversi affannato e spregiudicato in direzioni delle quali non sempre si conosce il senso; ciò che – sommato al logoramento della parola “responsabilità” – disegna un quadro tutt’altro che sereno.
Saliti sui gradini più alti del podio, i due vincitori, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno ora il problema di non poter governare da soli e si dicono aperti al contributo di chi hanno demonizzato. Da parte sua, il Pd – dimezzati i consensi rispetto alle elezioni europee 2014 – appare disorientato se non tramortito e, salvo qualche eccezione, tentato di stare alla finestra, a osservare i guasti che i vincitori si appresterebbero a produrre, “vendicandosi” così degli elettori che non li hanno votati.
Non sappiamo come si uscirà dall’impasse. L’augurio è che il presidente Mattarella riesca a gestire efficacemente questo passaggio che per qualcuno rappresenta la “nascita della Terza Repubblica”, ma in realtà va letto come una crisi apicale del sistema della rappresentanza, una frattura forse definitiva tra sistema e Paese. Vista la serietà della situazione e considerate le incognite che attraversano tematiche quali quella del lavoro (che non c’è), della coesione sociale, dell’avanzata o del regresso del progetto europeo, c’è un assoluto bisogno di un “ritorno” a una attitudine all’analisi profonda. Una volta c’erano i partiti (a volte con tanto di “scuole”), espressione di aree di pensiero e produttori, a loro volta, di pensiero. Oggi “p en s ar e” a pp ar e pleonastico e scambiare linee di pensiero una perdita di tempo. Fin quando non si imporrà una nuova attitudine all’analisi sociale, la politica non potrà che accompagnarci verso un destino di cui non saremo protagonisti attivi ma vittime.
Di questi problemi ha parlato recentemente Gian Maria Fara, presidente di Eurispes, nelle “Considerazioni generali” del trentesimo Rapporto Italia, presentato a fine gennaio. Nella sua riflessione si sottolinea che la “responsabilità” rimanda all’adeguatezza delle risposte che gli individui singoli e le comunità si mostrano in grado di fornire nei rapporti interpersonali come in quelli sociali. Il suo contrario, l’“irresponsabilità”, segnala uno scollamento complessivo delle relazioni che si sviluppano sia nel privato sia nel contesto pubblico. Dall’annacquamento del principio di “responsabilità” nascono: il mancato riconoscimento dell’“altro”; il settarismo; un legame infausto tra “bene comune” e“interessi di parte”; l’aggressività che sostituisce la ricerca di condivisione tra diversi.
Quando tutto ciò avviene la politica perde la sua funzione alta, e da luogo di un confronto (anche animato) diviene la piazza dello scontro, contrappuntato da un linguaggio d’odio che punta a demolire l’avversario. Il corrispettivo di questa politica è, nel mondo della comunicazione, l’appiattirsi sulle ricette contrapposte, con la tendenza a esasperare ulteriormente i toni distruttivi. Questi atteggiamenti sono “anti-costituzionali”: tradiscono la lettera e lo spirito della Carta fondamentale, prodotta in una fase storica in cui, pur in presenza di forti divisioni ideologiche, il senso di responsabilità accomunava tutti i soggetti in campo.
Viviamo oggi una fase di “discontinuità”. Ma prima che emergano i prodromi di un nuovo “sistema”, occorre fare i conti con le convulsioni di quello da cui stiamo uscendo. Che in primo luogo producono una diffusa “irresponsabilità” più che l’effettiva assunzione delle responsabilità conclamate a gran voce da tutti.