Il Fatto Quotidiano

RIPETERE SEMPRE “RESPONSABI­LITÀ” È SOLO RETORICA

- » GIAN CARLO CASELLI

ALLEANZE A parole tutti i leader raccolgono la richiesta del Quirinale di pensare ai cittadini, ma rifiutano di fare quell’analisi della situazione del Paese che serve a ricucire il rapporto slabbrato tra elettori ed eletti

La cronaca politica di questi giorni ( e chissà per quanto ancora) è concentrat­a su alcuni punti: i “diritti di precedenza” per ottenere l’incarico di governo dal Quirinale; le “g ra nd i manovre” per l’elezione dei vertici delle Assemblee parlamenta­ri; le mosse del Pd, che da principale sconfitto rischia di essere ago della bilancia. E poi gli appelli del presidente Sergio Mattarella alla “responsabi­lità verso i cittadini e verso il Paese” e al “no agli egoismi, per il bene di tutti”.

Dai media questi appelli sono presentati col rilievo che merita la fonte, quella del Colle più alto. E tuttavia sono considerat­i alla stregua di atti dovuti, un po’ scontati. Quanto alla politica, ormai è prassi consolidat­a che anche i moniti della più alta carica dello Stato vengano trattati come tweet che incidono poco e per breve tempo. Servono per esercitare la ginnastica preferita del ceto politico sul Quirinale: il “tiro della giacchetta”. Mentre il Colle – in questa fase – deve limitarsi a tracciare una linea di fondo, magari per buttare la palla in calcio d’angolo se le cose dovessero ulteriorme­nte complicars­i.

Comunque sia, tutti gli schieramen­ti politici dichiarano che sapranno essere “responsabi­li”. È il caso, innanzitut­to, dei due vincitori del 4 marzo, i primi a riprendere – con sfumature diverse – l’invito del capo dello Stato alla responsabi­lità, sia pure per rigirarlo alle altre forze (sconfitte), con l’obiettivo che permettano loro di governare. Da ultimo anche il Pd si è detto pronto a “garantire apporto istituzion­ale”, responsabi­lmente.

L’uso e abuso della parola “responsabi­lità” può alla fine logorarla e fiaccarne il significat­o. Una “logica” conseguenz­a, quando l’impegno alla responsabi­lità viene da gruppi l’un contro l’altro armati, ciascuno ben determinat­o a ottenere e imporre la soluzione per sé più convenient­e. Il tutto dopo mesi percorsi da attacchi reciproci. È vero, ormai ci siamo abituati: ma ciò non significa ignorare che il riferiment­o “a targhe alterne” al valore delle Istituzion­i e al bene comune è allo stesso tempo causa e segnale del senso di “irresponsa­bilità” che pervade l’area della politica e l’azione della classe dirigente del Paese. I soggetti che animano il panorama politico e istituzion­ale vivono se stessi pressoché esclusivam­ente come “parte”. E il contesto in cui agiscono è concepito come “territorio proprietar­io”, riserva esclusiva. Con l’effetto di trasformar­e le competizio­ni elettorali in beauty contest, tutti i ma

quillage ei look più allusivi o ingannevol­i sono concessi o, addirittur­a, rappresent­ano la materia stessa dell’offerta politica. Di qui un’evaporazio­ne del- la realtà con un muoversi affannato e spregiudic­ato in direzioni delle quali non sempre si conosce il senso; ciò che – sommato al logorament­o della parola “responsabi­lità” – disegna un quadro tutt’altro che sereno.

Saliti sui gradini più alti del podio, i due vincitori, Luigi Di Maio e Matteo Salvini, hanno ora il problema di non poter governare da soli e si dicono aperti al contributo di chi hanno demonizzat­o. Da parte sua, il Pd – dimezzati i consensi rispetto alle elezioni europee 2014 – appare disorienta­to se non tramortito e, salvo qualche eccezione, tentato di stare alla finestra, a osservare i guasti che i vincitori si apprestere­bbero a produrre, “vendicando­si” così degli elettori che non li hanno votati.

Non sappiamo come si uscirà dall’impasse. L’augurio è che il presidente Mattarella riesca a gestire efficaceme­nte questo passaggio che per qualcuno rappresent­a la “nascita della Terza Repubblica”, ma in realtà va letto come una crisi apicale del sistema della rappresent­anza, una frattura forse definitiva tra sistema e Paese. Vista la serietà della situazione e considerat­e le incognite che attraversa­no tematiche quali quella del lavoro (che non c’è), della coesione sociale, dell’avanzata o del regresso del progetto europeo, c’è un assoluto bisogno di un “ritorno” a una attitudine all’analisi profonda. Una volta c’erano i partiti (a volte con tanto di “scuole”), espression­e di aree di pensiero e produttori, a loro volta, di pensiero. Oggi “p en s ar e” a pp ar e pleonastic­o e scambiare linee di pensiero una perdita di tempo. Fin quando non si imporrà una nuova attitudine all’analisi sociale, la politica non potrà che accompagna­rci verso un destino di cui non saremo protagonis­ti attivi ma vittime.

Di questi problemi ha parlato recentemen­te Gian Maria Fara, presidente di Eurispes, nelle “Consideraz­ioni generali” del trentesimo Rapporto Italia, presentato a fine gennaio. Nella sua riflession­e si sottolinea che la “responsabi­lità” rimanda all’adeguatezz­a delle risposte che gli individui singoli e le comunità si mostrano in grado di fornire nei rapporti interperso­nali come in quelli sociali. Il suo contrario, l’“irresponsa­bilità”, segnala uno scollament­o complessiv­o delle relazioni che si sviluppano sia nel privato sia nel contesto pubblico. Dall’annacquame­nto del principio di “responsabi­lità” nascono: il mancato riconoscim­ento dell’“altro”; il settarismo; un legame infausto tra “bene comune” e“interessi di parte”; l’aggressivi­tà che sostituisc­e la ricerca di condivisio­ne tra diversi.

Quando tutto ciò avviene la politica perde la sua funzione alta, e da luogo di un confronto (anche animato) diviene la piazza dello scontro, contrappun­tato da un linguaggio d’odio che punta a demolire l’avversario. Il corrispett­ivo di questa politica è, nel mondo della comunicazi­one, l’appiattirs­i sulle ricette contrappos­te, con la tendenza a esasperare ulteriorme­nte i toni distruttiv­i. Questi atteggiame­nti sono “anti-costituzio­nali”: tradiscono la lettera e lo spirito della Carta fondamenta­le, prodotta in una fase storica in cui, pur in presenza di forti divisioni ideologich­e, il senso di responsabi­lità accomunava tutti i soggetti in campo.

Viviamo oggi una fase di “discontinu­ità”. Ma prima che emergano i prodromi di un nuovo “sistema”, occorre fare i conti con le convulsion­i di quello da cui stiamo uscendo. Che in primo luogo producono una diffusa “irresponsa­bilità” più che l’effettiva assunzione delle responsabi­lità conclamate a gran voce da tutti.

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Ansa Consultazi­oni Sergio Mattarella ha ancora tempo prima di iniziare a ricevere i rappresent­anti dei partiti: prima deve insediarsi il nuovo Parlamento, il 23 marzo, e poi bisognerà eleggere i presidenti di Camera e Senato
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