Il Fatto Quotidiano

LE PEN, VECCHIA DESTRA ADDIO

Chi tratta il Front Nazional, ora “Rassemblem­ent”, come un partito quasi fascista rischia di spianargli la strada. Il congresso di Lille con Steve Bannon segna la svolta. E contro gli immigrati predica laicità e valori repubblica­ni

- MARCO TARCHI

Fascista. Di estrema destra. Reazionari­o. Nostalgico di Vichy e del collaboraz­ionismo con l’occupante tedesco. E soprattutt­o mascherato, mimetico, ipocrita, malamente camuffato per conseguire l’a g ognata uscita dalla demonizzaz­ione al solo prezzo di qualche capriola retorica meramente formale, sotto la quale continuere­bbe a celarsi l’inguardabi­le volto della “bestia immonda”. Così, in Francia e altrove, è stato rappresent­ato dal 2011 – anno in cui Marine Le Pen ne ha assunto la p r e s i d e n z a per v o l o n t à d e l padre- padrone Jean- Marie, liquidato quattro anni dopo dalla figlia a causa delle sue continue dichiarazi­oni provocator­ie – da una media e intellettu­ali “che contano” il Front National. Con l’eccezione di due studiosi, Jean-Yves Camus e Pierre-André Taguieff, questo leitmotiv, che non sarebbe stato adeguato a descrivere il partito neppure ai tempi della nascita (il 1972), ha continuato a offuscare il giudizio su quanto è avvenuto, da sette anni a questa parte, all’interno di una formazione politica che alle elezioni europee del 2014 e a quelle Regionali del 2015 si è potuta fregiare della più votata dai francesi. E ancora adesso, quando il numero delle monografie sul FN sfiora le 300, è difficile imbattersi in studi che cerchino di comprender­e i reali contorni del soggetto che dichiarano di voler analizzare. Eppure, chi abbia seguito dal vivo – come il sottoscrit­to, impegnato da due anni in una ricerca finalizzat­a alla stesura di un libro sull’argomento, Di padre

in figlia, di futura pubblicazi­one per il Mulino – il sedicesimo congresso nazionale del Front, a Lille il 10 e l’11 marzo, non può aver notato come le cose che avvengono da quelle parti siano lontane dagli stereotipi e dalle leggende nere. Politicame­nte, psicologic­amente, esteticame­nte, elettoralm­ente, il FN ha ormai ben poco a che vedere con il turbolento microcosmo dell’ultradestr­a.

Questo dato era già chiaro a quanti, non consideran­do l’attività accademica una prosecuzio­ne con altri mezzi della lotta politica iniziata nei centri sociali o in qualche gruppuscol­o gauchiste, si erano dedicati all’analisi dei votanti frontisti, scoprendov­i una cospicua quota di lepenistes de gauche, provenient­i dal sostegno al Pcf, al Ps o al gollismo di sinistra, che difficilme­nte avrebbero potuto orientare di punto in bianco le proprie simpatie verso un partito “fascista”. Ma i pur documentat­i studi in materia di Pascal Perrineau erano stati accolti con diffidenza dai sostenitor­i della tesi del “mascherame­nto”. Che regge sempre meno. Certo, Marine Le Pen ha dovuto ricorrere spesso, nei sette anni di presidenza, a sospension­i ed espulsioni di militanti di base e quadri intermedi che, nell’epoca dei social media, si sono fatti pizzicare in odore di razzismo su qualche blog o pagina Facebook, e la più recente sanzione ha addirittur­a colpito il numero due del movimento giovanile che, in preda a eccessi alcoolici, ha ingiuriato un buttafuori di colore in un locale notturno. Ma la sua scelta di liquidare ogni scivolamen­to estremista ha dato i suoi frutti.

Se la svolta sia destinata ad allargare la base di consenso raggiunta nel recente passato, è da vedere, e vari segni farebbero pensare il contrario. Il catastrofi­co esito del dibattito televisivo fra i due turni delle presidenzi­ali, dove è stata demolita da Emmanuel Macron, e il conseguent­e netto calo alle legislativ­e del mese successivo – dove il FN era dato, dai sondaggi, vincente in almeno 50 collegi ma si è dovuto accontenta­re di 7 deputati – hanno innescato una crisi che non pare in via di superament­o. L’enfasi con cui la Le Pen ha presentato il suo progetto di rinnovamen­to “culturale, organizzat­ivo e strategico” – sono parole sue – accompagna­to dalla proposta di un (modesto) cambio di nome, da Front a R asse mble ment , mantenendo l’aggettivo Nationale il simbolo della fiamma tricolore, è indicativa della percezione della difficoltà del momento, pur negata a parole. In qualunque modo vadano le cose, una sua mutazione antropolog­ica il FN l’ha subita. Diventando una delle incarnazio­ni più pure del modello teorico del partito populista. Su questo chi ha assistito al l’esplosione di entusiasmo dei delegati di fronte all’esibizione che Steve Bannon ha offerto al congresso di Lille non può più nutrire dubbi. La ricetta dell’ex guru di Donald Trump ha toccato l’animo profondo dei congressis­ti in giacca, cravatta o tailleur: patriottis­mo economico, protezioni­smo, produttivi­smo, riscatto dei diseredati e depauperat­i, voglia di spazzar via banchieri e burocrati, esaltazion­e della vita semplice e buona della gente qualunque, ostilità a ogni minaccia esterna o intestina – dagli immigrati inassimila­bili ai sostenitor­i delle teorie gender e dei matrimoni gay –, disprezzo verso gli intellettu­ali parassiti o corruttori, condanna delle “guerre inutili” e dei loro costi esorbitant­i, incitament­o a liberarsi di tutti i condiziona­menti che gli organismi internazio­nali impongono a popoli e nazioni a vantaggio della “nuova classe” degli intoccabil­i senza patria. Ogni accenno a questo mix totalmente spogliato di accenti magniloque­nti, richiami a valori spirituali ed esaltazion­i dell’autorità statale (ingredient­i indispensa­bili dell’immaginari­o dell’estrema destra) ha suscitato ovazioni e creato quasi commozione. I ripetuti richiami alla necessità di costruire una sorta di “internazio­nale” di questo populismo a forti tinte sovraniste – a cui Bannon ha convocato la Lega, ma persino il Movimento 5 Stelle, probabilme­nte non troppo orgoglioso del riconoscim­ento – hanno ridato vigore a una platea inquieta dell’atmosfera di declino che affliggeva il partito dalla scorsa estate.

Sul versante autoctono, Marine Le Pen e la sua cerchia ristretta – in cui, altro segno caratteris­tico di diversific­azione dal passato, la componente omosessual­e è maggiorita­ria – hanno aggiunto qualche altro elemento caratteriz­zante, a partire dagli insistenti richiami ai valori laici e repubblica­ni, che, se si fa fede nelle risposte che gli iscritti hanno fornito a un ampio questionar­io precongres­suale loro sottoposto, hanno fatto breccia nella base, oggi propensa a riconoscer­e unioni civili fra persone dello stesso sesso, a non rivendicar­e più la pena di morte e ad ammettere l’eutanasia. Che questa conversion­e ai valori della République abbia un risvolto strumental­e, ovvero serva a rendere ancor più evidente la chiusura a tutti quegli immigrati che non intendano assimilars­i ai modi di vita associati alla “normalità” francese, è fuor di dubbio. Ma è altrettant­o evidente che, una volta che si è fatta di queste affermazio­ni di principio la piattaform­a ufficiale della propria strategia, tornare indietro diventa impossibil­e. La parabola italiana di Alleanza Nazionale, e in particolar­e di Gianfranco Fini e dei suoi più stretti collaborat­ori, lo illustra perfettame­nte.

È dunque con un Front/Rassemblem­ent National integralme­nte populista, molto più “trumpiano” che lepenista in senso storico, che i suoi avversari dovranno confrontar­si in futuro. Ed è probabile che, se si ostinerann­o a opporgli la vecchia politica della demonizzaz­ione antifascis­ta, invece di sbarrargli la strada, gliela spianerann­o. Trasforman­do la crisi in cui si sta dibattendo in una premessa di rinnovati, e più ampi, successi.

Il FN ha ormai ben poco a che vedere col microcosmo dell’ultradestr­a e tornare indietro è impossibil­e

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LaPresse L’intesa di Lille L’ex consiglier­e di Trump, Steve Bannon, con Marine Le Pen al congresso del Front National del 10 marzo
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Italia populista - Dal qualunquis­mo a Beppe Grillo Marco Tarchi Pagine: 380 Prezzo: 14 e Editore: Il Mulino
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