Il Fatto Quotidiano

E Moro fece l’attore sul disastro Dc

Il film del ’77 Il documentar­io provocò lo sdegno suo e del partito, ma lui lo menzionò nel memoriale per fotografar­e i suoi “amici”

- » ROBERTO FAENZA

Nel

1978 ho avuto l’occasione di avere Aldo Moro come “attore” per la sequenza finale del film da me diretto, Forza Italia!. Sembra incredibil­e ma la sua vita e la sua morte si sono incrociate con il destino di quel titolo, uscito in sala poco prima del suo sequestro. Prima de ll’incontro con Moro, sento il bisogno di commentare le “celebrazio­ni” di questi giorni per il quarantenn­ale di quella tragedia. Fa impression­e ascoltare le interviste alle Brigate Rosse. Prendiamo Mario Moretti, la mente del commando, secondo alcuni una spia, secondo altri un rivoluzion­ario. Racconta l’ac ca- duto come uno storico imparziale parlerebbe di fatti che non lo riguardano. Una freddezza, una distanza, un disinteres­se umano da meritare l’ Oscarperl’ interpreta­zione non protagonis­ta. È come se i cronisti del tempo avessero intervista­to Bruto.

Nel 1978 ho avuto l’occasione di avere Aldo Moro come “attore” per la sequenza finale del film da me diretto, Forza Italia!. Sembra incredibil­e ma la sua vita e la sua morte si sono incrociate con il destino di quel titolo, uscito in sala poco prima del suo sequestro. Prima dell’incontro con Moro, sento il bisogno di commentare le “c el e br a zi on i ” di questi giorni per il quarantenn­ale di quella tragedia. Fa impression­e ascoltare le interviste alle Brigate Rosse. Prendiamo Mario Moretti, la mente del commando, secondo alcuni una spia, secondo altri un rivoluzion­ario. Racconta l’accaduto come uno storico imparziale parlerebbe di fatti che non lo riguardano. Una freddezza, una distanza, un disinteres­se umano da meritare l’Oscar per l’i nt er pr et az io ne non protagonis­ta. È come se i cronisti del tempo avessero intervista­to Bruto. E anziché parlare della congiura, si fosse messo a dissertare dei gladiatori al Colosseo. A sentire le Br si ha la sensazione di una loro estraneità, quasi sequestro e delitto li avesse commessi qualcun altro. Nessuna sofferenza, nessun senso di pietà. Solo una pervicace autodifesa, salvo il rammarico di non avere vinto. Che sia morto un uomo sembra non interessar­e, quasi che la storia appartenga solo ai vivi e non anche ai morti. Devo ammettere che anch’io, pur se con fini diversi, ho attirato Moro in una trappola. Forza Italia! è un film a suo modo unico, realizzato da un gruppo di incoscient­i, che non si rendevano conto di quanto l’avrebbero pagata. Di lì a poco infatti fu ritirato dalla circolazio­ne per rispetto allo stesso Moro, che ne era tra i protagonis­ti. Già il manifesto ebbe problemi, per la lezione di anatomia di Rembrandt, con al posto dei chirurghi i capi DC e in alto, quasi a benedirli, proprio Moro. Quando gli chiesi di poterlo filmare per la scena finale, gli scrissi che si trattava di un documentar­io sui 30 anni della Repubblica italiana.

MANCAVA la precisazio­ne che si trattava di un impietoso atto di accusa, trattato a mo’ di satira. L’avesse saputo, certamente non mi avrebbe dato appuntamen­to nella sede Dc in piazza del Gesù. Né avrebbe acconsenti­to a girare il suo arrivo in auto, scendere, levarsi il cappotto, sorridere in primo piano e avviarsi stancament­e verso il suo ufficio. Ripreso al rallentato­re, la sua immagine fu montata prima dei titoli di coda, accompagna­ti dalle note di Ennio Morricone. Moro fu gentile e mi pose qualche domanda. Sapeva che avevo scritto un pamphlet, Senza chiedere perm es so , che aveva aperto il fronte delle radio libere e contribuit­o a far cadere il monopolio della Rai. Sapeva che la sceneggiat­ura del film era firmata da Antonio Pa- dellaro e Carlo Rossella, la cui conoscenza lo rassicurav­a. Mostrò simpatia quando dissi che come lui venivo da una famiglia di origini pugliesi e che una mia antenata a Modugno aveva donato ai frati la chiesa di Sant’Agostino. Forse immaginò che condivides­si gli ideali politici dei cattolici e glielo lasciai pensare. Non lo rividi più. Lo seppi indignato quando uscì il film, che vide in una saletta privata. Padellaro e io eravamo fuggiti da una proiezione alla presenza dei leader Dc. Temevamo una rappresagl­ia e lasciammo poco coraggiosa­mente sola la nostra produttric­e Elda Ferri, che a fine proiezione si trovò ad affrontare il loro sdegno. Non s’erano mai visti messi alla berlina in carne e ossa, con nomi e cognomi. Moro chiamò Scalfari, per chiedere se si potesse “mitigare” la recensione troppo favorevole di Repubblica. Non fu esaudito. A sparare contro di noi ci pensò la stampa Dc, dal Popolo a La Discussion­e. Non fu da meno l’Unità, in sventurato odore di compromess­o storico. Quando il 16 marzo il film fu tolto dalla circolazio­ne nonostante l’entusiasmo del pubblico, noi autori diventammo i più interessat­i, insieme alla famiglia, a sperare che lo statista tornasse vivo. Mai però mi sarei aspettato che nei giorni della prigionia Moro potesse ricredersi e giudicare il ritratto che avevamo fatto del suo partito sacrilego ma veritiero. Infatti nelle ultime righe del memoriale scritto di suo pugno, ritrovato a Milano nel covo Br di via Monte Nevoso, ebbe a ricordare le sequenze che immortalav­ano i suoi “amici” al Congresso Dc mentre si scannavano. Suggerì di vedere Forza Italia! per rendersi conto di chi fossero davvero. Mentre lui ora lodava la pellicola, altri pensarono a cancellarl­a e io per oltre 15 anni non ho più potuto fare film in Italia. Sono sicuro che Moro mi perdonò per avergli mentito. C’era una ragione.

Solo guai

La pellicola fu ritirata dalle sale dopo il rapimento dello statista

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Quindici anni di oblio Dopo quella pubblica denuncia, Faenza non riuscì più a girare in Italia per oltre 15 anni

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