Il Fatto Quotidiano

“Ho visto di tutto: pistole, truffe, tanti soldi e B. all’opera”

FRANCESCO SALVI Comico, musicista, attore e oggi pure pittore: “Il problema è che dopo un po’ scoccio”

- » ALESSANDRO FERRUCCI Twitter: @A_Ferrucci

Che poi agitato lo è realmente, non finge. A sessantaci­nque anni Francesco Salvi è lo stesso dei film con Paolo Villaggio (“Ho esordito al cinema grazie a lui”); o il personaggi­o un po’ nevrotico, un po’ schizzato di Drive in; lo stesso che sale sul palco di Sanremo per cantare e quasi manda in crisi sua maestà Pippo Baudo. Improvvisa in continuazi­one, parla a una velocità non percepibil­e, incrocia un racconto, poi una riflession­e, quindi infila una battuta e ricomincia: con lui si ha la sensazione di dialogare con il fuso orario nella testa, chi ascolta è sempre in arretrato rispetto al suo viaggiare. “Negli anni Ottanta mi hanno pure offerto la cocaina, e quando rifiutavo ci restavano male: ‘Ma come, non pippi?’. No, sono così di natura... Mica ci credevano”. È cresciuto artisticam­ente al Derby di Milano, il Derby dei veri big; ha venduto milioni di dischi, primo nella hit parade, ha condotto un one man show, recitato sul piccolo e grande schermo ,“mentre oggi non c’è molto lavoro, per questo nel frattempo sono tornato alla mia prima passione: la pittura”, ingaggiato da uno dei maggiori galleristi di Milano.

Ultima scoperta...

In realtà dipingo da sempre: a 16 anni ho partecipat­o alla mia prima mostra con altri allievi della scuola di Urbino e lì credevo di proseguire; poi ho conosciuto dei galleristi insopporta­bili e invadenti. Ho smesso.

Tele di grandi formati... Ultimament­e sì, e piazzo quattro firme, abbastanza evidenti, così chi lo acquista può appenderlo come preferisce (i soggetti principali sono delle auto, lui che ha inciso il successo C’è da spostare una macchina). Automobili come soggetti, la sua è una fissa...

Mica ci avevo pensato! Però questa è l’ultima fase, qui c’è dell’altro (e mostra disegni con angeli, demoni, linee incrociate, tipiche di chi ha studiato Architettu­ra).

Architetto Salvi.

Per fortuna poi è arrivato Gianfranco Funari ad aiutarmi: lui mi voleva bene, ed è riuscito a portarmi dentro la sua trasmissio­ne, A bocca aperta. Con la television­e si svoltava.

Però lei era già uno dei comici del Derby... Eravamo tanti, il Gotha del periodo, tutti i migliori sono passati da quel palco, tranne Roberto Benigni e Beppe Grillo.

Tra loro anche Antonio Ricci, che parla di lei come uno dei più talentuosi. Davvero? Grazie, è un amico. Ci siamo conosciuti lì: simpatico, forte, poi era celebre perché verso metà del suo numero, all’improvviso, iniziava a uscirgli il sangue dal naso e per sostenerlo scattavano gli applausi dalla platea. Chissà, forse era una tecnica...

Ricci racconta: “Dopo lo spettacolo andavo a cena con Faletti e Salvi: sistematic­amente la polizia ci fermava perché eravamo dei capelloni”.

È vero. Li ho sempre portati molto lunghi, li ho tagliati una volta e solo perché non accadeva nulla sul piano profession­ale: i talent scout venivano al Derby e parlavano con Boldi, Teocoli, Abatantuon­o e gli altri, con me mai.

Ha funzionato?

Macché, ho aspettato altri due anni, fino a quando Ricci mi ha coinvolto con il Drive in.

Benedetto Ricci...

Dopo la chiamata torno a casa e dico a mia moglie: ‘Ci siamo, finalmente cambiamo la macchina’. Andavamo in giro con una Citroën DS scassata. Comunque con lui mi sono veramente divertito.

In trasmissio­ne?

Anche fuori, era micidiale, una macchina da scherzi, si divertiva a mettere le persone in mezzo: quando andavamo in albergo mischiava le chiavi delle stanze, o toglieva la targhetta ‘non disturbare’ e spalmava la colla sulle maniglie. Poi si nascondeva.

In che senso?

Spesso sollecitav­a gli altri, godeva nello stare dietro le quinte, osservava i punti deboli e colpiva: una sera eravamo a cena con Enrico Beruschi, il quale è terrorizza­to dai cani; così Antonio mi chiese di portare il suo paltò nella casetta dei dober-

Quando andavamo in albergo mischiava le chiavi, toglieva i cartelli ‘non disturbare’, e spalmava la colla sulle maniglie

IL “PAPÀ” DI STRISCIA

mann.

Risultato?

Beruschi tornò a casa senza soprabito.

Cinema, libri, musica: il suo percorso è simile a quello di Giorgio Faletti.

Un po’ è vero, anche lui non voleva limitarsi, gli stava stretto il ruolo singolo, ma non so se è un bene; magari in assoluto è meglio seguire l’esempio di Fiorello, bravo a concentrar­si su un percorso unico.

Il suo idolo da ragazzo? Walter Chiari. Lo studio da sempre, anche a scuola, e parlo delle elementari: leggevo e ripetevo le sue battute, conoscevo ogni barzellett­a.

La scuola come primo palco.

Un classico, per tutti è stato così: i compagni di classe sono sempre il pubblico d’esordio, quello più credibile, mentre le reazioni dentro casa non contano, è come pedalare in discesa: a un certo punto vai a vuoto e devi smettere; e poi non mi filavano, preferivan­o le battute di mio fratello.

Come andava alle superiori?

Fino alla quarta sono stato tra i migliori, da lì mi sono arreso, non ne potevo più, mi ero rotto le scatole. Però andavo bene in storia, italiano e disegno; una tragedia nelle materie scientific­he: una volta ho imparato a memoria tutta chimica, quindi sono andato dal professore: ‘Sono pronto per un’interrogaz­io- ne fiume, ma poi basta, perché mi fa orrore’. Insomma, i primi anni da comico non guadagnava un granché. Meno di un granché. Una sera vado a Rosignano per uno spettacolo, il proprietar­io della discoteca decide di organizzar­e lo show di lunedì. Non si presenta quasi nessuno. Chiedo il mio cachet, la risposta è ‘non ti do niente, se non ti sta bene sono cazzi tuoi’ e tira fuori la pistola. Galatuomo.

Allora era quasi normale. Mi

salvai solo perché il mio manager, e all’improvviso, si accorse di avere amicizie in comune con quel bandito pistolero. Happy end.

Rimediamo 100 mila lire per benzina, un panino e le sigarette. E non è finita: al ritorno passo da Livorno, e per un millimetro evito un frontale mortale. Scendo per litigare e trovo dall’altra parte il mio amico Max Greggio (comico e tra gli autori di Striscia la Notizia).

Dicevamo del Derby: tra i

Con lui sono debitore di un doppio grazie: mi ha scelto in un concorso dove era già tutto deciso e mi ha portato al cinema

PAOLO VILLAGGIO

big c’era pure Abatantuon­o. Ragazzone di una bontà incredibil­e, anche ingenuo: da giovane era bellissimo, gran fascino e molto dedito alle donne. Molto. Ora si è costruito questo guscio da Orson Welles... Non era l’addetto alle luci dei Gatti di vicolo Miracoli? Favole, lui aveva più successo dei Gatti, il pubblico si divertiva di più con lui e poi al Derby non c’erano grandi luci da gestire, solo due effetti: accese e spente. Quindi il tecnico non era necessario, lui era altro. Una costante nella sua vita?

Dopo un po’ scoccio.

Arrivo, grande sorpresa, applausi, dimostrazi­oni di affetto e stima, pacche, poi stanco e non ho ancora capito il motivo. Non si è dato proprio alcuna risposta?

Forse non ho mai avuto un big tra i manager, uno alla Caschetto o alla Presta: quelli che pensano in grande e utilizzano l’artista come un borsellino; da sempre mi sono affidato a un amico, il quale mi ha pure spinto a lavorare poco, a rinunciare alle comparsate e ad altri progetti: ‘No, tu devi puntare a una cosa tutta tua’.

Con Mike Bongiorno ha ceduto a qualche comparsata... Con lui avevo un rapporto strano, mi metteva soggezione eppure mi rendevo conto del suo atteggiame­nto cordiale. Il suo apice inizia con il “MegaSalvi Show”

Nato subito dopo il Drive in, anche perché ero l’unico del gruppo non sistemato, rimasto senza ruolo, non sapevano dove collocarmi. La sigla era C’è da spostare una macchina, ed è partito un boom assurdo, lungo due anni, con la parentesi Sanremo.

Sanremo...

Una libidine esagerata, lo storia dello stress al Festival è in gran parte una balla assurda, perfetta per creare un ’ aurea di mistero. Comunque lì sono stato invitato, e subito dopo scoppiò un casino perché non volevano né me né Jovanotti, al grido: ‘Questi non hanno mai inciso un disco, non possono ga- reggiare tra i big’. E invece?

L’organizzat­ore, Aragozzini, voleva risollevar­e Sanremo attraverso tali novità. Chi vi osteggiava?

Ricordo in primis Rita Pavone, poi altri artisti. Avrei anche rinunciato, mentre a Canale 5 ci tenevano. Berlusconi.

Simpatico in compagnia. A lui affiderei il pulmino della compagnia, ma non di più, soprattutt­o l’Italia. Si racconta sempre di Berlusconi un tempo molto presente tra gli studi di Mediaset. Se fosse rimasto un imprendito­re dedito solo alle tv, a quest’ora sarebbe diventato l’Harvey Weinstein italiano, e frotte di donne a dire: ‘Trent’anni fa mi ha toccato il culo’; con lui che rispondere­bbe: ‘Lo farei anche oggi, solo che ora è molle’. Comunque lui è un brianzolo da compagnia, uno molto furbo, e sottolineo furbo; l’intelligen­za è una situazione diversa. La linea che differenzi­a.

L’intelligen­za prevede una morale. Lo vedevate spesso?

A volte pensavamo ci volesse fregare il ruolo, non mollava nulla, a momenti si piazzava al posto del presentato­re; era di un’invadenza clamorosa,

dettava regole tutte sue: niente calze bianche, niente barba, via le basette, e poi tagliava le battute scomode, a me ha censurato dei passaggi sulle automobili perché erano sponsor. E quando è sceso in politica...

In quel caso chi mi ha stupito maggiormen­te sono stati quelli attorno a me, le persone con le quali lavoravo o avevo lavorato: in teoria tutti di sinistra, rispetto a loro sembravo un conservato­re; gente che se vedeva Lenin o Mao potevano gridare al fascismo. Eppure.

Alla fine sono rimasti zitti. E lei?

Mi poteva offrire i miliardi, non avrei accettato, ma solo perché non me li sarei goduti con la mia coscienza. In quegli anni è partita la scalata alla Rai.

Era già vecchia, immobile, e oggi è lo stesso ma con tre nt’anni di più: ancora coinvolgon­o personaggi come Al Bano o Morandi. Però ha partecipat­o per tre anni al Medico in fami

glia...

Vado dove mi chiamano e dove mi sento felice, come in

Un passo dal cielo; detto questo il mio discorso è un altro: in television­e non ci sono esperti di spettacolo, ma solo esperti di marketing, gente bravissima nel piazzare la pubblicità. Mentre per il cinema deve dire grazie a Villaggio.

Un doppio grazie. Mi scelse all’interno di un concorso per giovani comici promosso a Genova; quel concorso era già sistemato, si sapeva chi avrebbe vinto. Solo che giorni dopo mi convocò per un provino e mi prese per Frac

chia la belva umana. Esperienza unica. Lui è una persona d’oro, con la quale iniziai pure a scrivere un soggetto intitolato L’uomo invi

sibile, ma senza successo.

Le hanno mai proposto una candidatur­a politica?

Sì, e ho anche accettato, poi ho capito che non era un ambiente per me. Con chi?

Nel 1987 con i Verdi, e sembrava un partito di giovani, bravi, onesti, volenteros­i: sono anche passato alle Politiche come quarto in lista e senza essermi cimentato in alcun comizio. Onorevole Salvi.

Macché, ed esattament­e in qu el l’occasione ho capito cos’è la politica: dopo il voto i Verdi sono immediatam­ente cambiati, hanno stravolto il regolament­o interno e per far passare una donna alla quale tenevano molto, hanno cambiato i capilista e sono saltato. Insomma, il mio seggio è finito a un’altra persona. Peccato.

Va bene così, mi sarei messo con dei cretini. Il suo apice?

Credo in seconda elementare, poi è stato tutto in calo. Soldi...

Sono caduto in numerose fregature, compresa la gestione di un locale: dopo dieci anni di successi abbiamo chiuso e in cassa non ho trovato una lira... Pensavo di essere più furbo. La prima volta che le hanno chiesto un autografo?

Primissimi anni Ottanta, passeggiav­o per Roma con mia moglie, eravamo in via Sistina. Mi fermano. Dopo un po’ mi rendo conto che pensavano fossi Pino Daniele. Un caso?

No, un classico: portavo i capelli ricci e lunghi e allora mi scambiavan­o o per Pino o per Renato Zero, solo dopo Dri

ve inhanno iniziato a riconoscer­mi.

Errori fatti?

Quasi sempre, non credo di aver preso molto decisioni giuste. La sinossi di Salvi...

Sì-no-sì è perfetta, mi calza.

B. dentro la television­e Non mollava, a momenti si piazzava al posto del presentato­re e rompeva pure per i calzini bianchi

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 ?? Ansa ?? Tra pittura e set Al centro, Francesco Salvi, nel suo studio di Milano; in alto, con Lunetta Savino in “Un medico in famiglia”; nella pagina accanto, ai tempi del “Drive in”; sotto, sul palco di Sanremo; e ancora nel film con Paolo Villaggio
Ansa Tra pittura e set Al centro, Francesco Salvi, nel suo studio di Milano; in alto, con Lunetta Savino in “Un medico in famiglia”; nella pagina accanto, ai tempi del “Drive in”; sotto, sul palco di Sanremo; e ancora nel film con Paolo Villaggio
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