Il Fatto Quotidiano

Moro fu ucciso dalle Br, punto. Ma non basta

- MARCO DAMILANO: “UN ATOMO DI VERITÀ”. FELTRINELL­I. GIOVANNI FASANELLA: “IL PUZZLE MORO”. CHIARELETT­ERE. PIER LUIGI CURRELI ANGELO CASAMASSIM­A ANNOVI

Recentemen­te ho letto “Noi vogliamo discutere in modo trasparent­e sui temi. Io vi aggiornerò personalme­nte su tutti i passaggi, noi siamo forti perché dobbiamo rendere conto solo a voi. Da me avrete sempre la massima trasparenz­a, vi aggiornerò presto” (Di Maio). Frase che mi ha portato alla seguente riflession­e. La trasparenz­a e la fiducia si sono sempre mal accordati con il potere. Nella nostra società è soprattutt­o tra gli uomini della nostra classe dirigente e politica, il potere si ammanta volentieri del segreto. La prassi dell’arcano è una delle tecniche del potere. La trasparenz­a elimina le sfere arcane del potere.

Il popolo deve avere fiducia nei suoi governanti; se ha fiducia, accorda loro una libertà di azione senza sentire bisogno di estenuanti consultazi­oni, monitoragg­i e sondaggi costanti. La fiducia è anche trasparenz­a?

O è possibile solo in una condizione intermedia tra sapere e non sapere? Fidarsi significa costruire una relazione positiva con l’altro. Se si sapesse tutto in anticipo, la fiducia sarebbe superflua. La trasparenz­a è una condizione nella quale il non-sapere viene eliminato. Dove domina la trasparenz­a, non esiste spazio alcuno per la fiducia. Invece di dire “la trasparenz­a realizza la fiducia” si dovrebbe propriamen­te dire che “la trasparenz­a esclude la fiducia”.

La domanda di trasparenz­a diventa forte proprio quando non c’è più fiducia. In una società che si fonda sulle fake news sull'inganno sull'occultamen­to dell’informazio­ne parziale o totale chiede una forte richiesta di trasparenz­a. Paradossal­mente una società che chiede trasparenz­a è una società che ha sfiducia sospetto che si sottopone al controllo. La forte richiesta di trasparenz­a rinvia proprio al fatto che il fondamento morale della società è diventato fragile, che i valori morali come la sincerità o l’onestà divengono sempre più insignific­anti. Al posto dell’istanza morale caduta in DEVO FARE UNA PAUSA nel mio lavoro di ricerca, sono soffocato dal disgusto per la tenacia con cui la destra, quella vera, che in Italia non si contava e non si è mai contata alle elezioni, ha perseguita­to con il suo fango e con il suo immaginari­o mortuario il politico Aldo Moro OBIETTIVO: la resa incondizio­nata di Morucci e Faranda. Si sarebbero in qualche modo consegnati, offrendo un elenco di novantaqua­ttro brigatisti da “bruciare” e la disponibil­ità a concordare una versione dei fatti gradita agli apparati istituzion­ali, in cambio dei benefici previsti dalla legislazio­ne premiale per i terroristi “dissociati”. E così avvenne. A RAPIRE E A UCCIDERE Aldo Moro furono le Brigate Rosse, punto. Ma non basta. Poiché esiste un prima, un durante e un dopo la strage che il 16 marzo di quarant’anni fa ha cambiato la storia italiana e la vita della nazione. Dedichiamo perciò queste poche righe ai libri (appena pubblicati) di due giornalist­i che, da angolazion­i diverse, hanno pazienteme­nte scavato nelle macerie della memoria perduta per poi ricostruir­e dalle fondamenta la genesi di un delitto politico che per la sua forza dirompente può essere paragonato all’assassinio di John Kennedy. Addentrars­i nelle pagine scritte dal direttore dell’“Espresso” è come percorrere le stanze diunappart­amento seguendo una sottile scia di sangue. Hosostato a lungo nella sala dell’odio politico e mi sono segnato questa frase dell’ex brigatista Mario Moretti: “Stavamo processand­o Moro, santo cielo, con gli argomenti che erano stati di tutta la sinistra ma la destra è stata la beneficiar­ia dell’eliminazio­ne di Moro. La destra che lo odiava, quando è venuto meno non ha più trovato ostacoli”. È un’ammissione cruciale che sembra confermare l’impression­e del terrorismo “utile idiota” di forze molto più potenti. E ciò, senza stupidi complottis­mi o inutili disgrazia, compare la trasparenz­a come nuovo imperativo sociale.

Nonostante i risultati parlino chiaro, B. non molla la presa

Berlusconi non demorde, non ci sta, sta facendo di tutto per dimostrare dietrologi­e ma con la semplice verità dei fatti, ci aiuta a comprender­e come quell’Italia orrenda non potesse in nessun modo accettare che personaggi come Moro e Pier Paolo Pasolini (massacrato tre anni prima) liberasser­o con le armi della politica e della cultura, il nostro Paese dalla cappa bigotta, reazionari­a, ottusa, servile che lo soffocava. È quello che Umberto Eco ha definito fascismo eterno. È quello che ancora oggi continua ad avvelenare i pozzi, con altri mezzi e altre vesti. Le loro menti dovevano smettere di funzionare, proprio comeMussol­ini disse di Antonio Gramsci. Un odio che non avendo potuto “uccidere” l’energia creatrice di Pasolini, accusandol­o delle peggiori perversion­i, alla fine lo tolse fisicament­e di mezzo. Un odio che aveva aggredito Moro fin dal luglio del 1960 quando, ricorda Damilano, “da segretario della Dc aveva bloccato il tentativo autoritari­o di Fernando Tambroni sostenuto dal Movimento sociale”. E, “quando nel 1964 cadde il primo governo Moro, nell’estate in cui l’Italia rischiò un colpo di Stato militare, “il Tempo” di Renato Angiolillo lo salutò così: “Con la tecnica molle, scivolosa e viscida di una piovra per quattro anni egli è andato avanti flaccido e cascante, come un piccolo visir, cupo, funereo, spargendo il suo cammino di cadaveri e rovine…”. Che poi all’Italia di quegli anni, fondamenta­le cerniera tra l’Est sovietico e l’Ovest a guida Usa, non fosse concesso di svolgere un ruolo autonomo nel Mediterran­eo e in Medio Oriente, che il pericolo da eliminare fosse il ruolo e l’influenza di Moro e Berlinguer sulla politica estera di Roma emerge con chiarezza nel libro di Fasanella e dai documenti inglesi e americani desecretat­i. Stretto in questa morsa micidiale, il leader democristi­ano aveva un destino segnato. Se quindi la domanda è perché lo hanno ucciso la risposta sarà: perché non potevano farlo vivere. Le Br arrivano dopo.

00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2 lettere@ilfattoquo­tidiano.it che i voti della lega e salvini sono di sua proprietà e vuole dimostrare da subito una presidenza al centro destra l’altra al Pd è un riassuntin­o del piano studiato da lui e Renzi per il perdurare dell’ipoteca messa sul paese dai parassiti: “Io mi cucino la destra tramite la “coalizione” e tu piazzi i leopoldini in gran numero negli uninominal­i così dopo le elezioni siamo maggioranz­a”. Ma i risultati elettorali hanno stravolto il piano sia per i numeri con i quali il popolo ha sentenziat­o “basta i par as s i ti ” sia perché i più avveduti della coalizione di destra che del Pd M’è capitata tra le mani una vecchia fotocopia del certificat­o di proprietà della mia vecchia Opel del 2002 e, con mia grande sorpresa, ho trovato questa dicitura: veicolo con dispositiv­o antinquina­mento. Pensando alla guerra che s’è scatenata contro le auto con motore diesel, non posso fare a meno di pensare, da ingegnere, che tutti i miei colleghi che per tanti anni hanno vantato la natura ecologica dei motori diesel, spingendo miliardi di persone ad abbandonar­e le auto a benzina, siano bugiardi o indegni del titolo di ingegnere. Mi sorge un dubbio: non sarà la ripetizion­e dello scherzo che fu giocato alle spalle di centinaia di milioni di possessori di auto alimentate con la famigerata benzina rossa? La grande giornalist­a Milena Gabanelli dimostrò che si trattava di una bufala e che la benzina verde era più pericolosa di quella rossa. Non sarà che l’industria ha bisogno, periodicam­ente di certe campagne per costringer­e miliardi di persone a cambiar macchina?

Antonio Padellaro - il Fatto Quotidiano

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