Moro fu ucciso dalle Br, punto. Ma non basta
Recentemente ho letto “Noi vogliamo discutere in modo trasparente sui temi. Io vi aggiornerò personalmente su tutti i passaggi, noi siamo forti perché dobbiamo rendere conto solo a voi. Da me avrete sempre la massima trasparenza, vi aggiornerò presto” (Di Maio). Frase che mi ha portato alla seguente riflessione. La trasparenza e la fiducia si sono sempre mal accordati con il potere. Nella nostra società è soprattutto tra gli uomini della nostra classe dirigente e politica, il potere si ammanta volentieri del segreto. La prassi dell’arcano è una delle tecniche del potere. La trasparenza elimina le sfere arcane del potere.
Il popolo deve avere fiducia nei suoi governanti; se ha fiducia, accorda loro una libertà di azione senza sentire bisogno di estenuanti consultazioni, monitoraggi e sondaggi costanti. La fiducia è anche trasparenza?
O è possibile solo in una condizione intermedia tra sapere e non sapere? Fidarsi significa costruire una relazione positiva con l’altro. Se si sapesse tutto in anticipo, la fiducia sarebbe superflua. La trasparenza è una condizione nella quale il non-sapere viene eliminato. Dove domina la trasparenza, non esiste spazio alcuno per la fiducia. Invece di dire “la trasparenza realizza la fiducia” si dovrebbe propriamente dire che “la trasparenza esclude la fiducia”.
La domanda di trasparenza diventa forte proprio quando non c’è più fiducia. In una società che si fonda sulle fake news sull'inganno sull'occultamento dell’informazione parziale o totale chiede una forte richiesta di trasparenza. Paradossalmente una società che chiede trasparenza è una società che ha sfiducia sospetto che si sottopone al controllo. La forte richiesta di trasparenza rinvia proprio al fatto che il fondamento morale della società è diventato fragile, che i valori morali come la sincerità o l’onestà divengono sempre più insignificanti. Al posto dell’istanza morale caduta in DEVO FARE UNA PAUSA nel mio lavoro di ricerca, sono soffocato dal disgusto per la tenacia con cui la destra, quella vera, che in Italia non si contava e non si è mai contata alle elezioni, ha perseguitato con il suo fango e con il suo immaginario mortuario il politico Aldo Moro OBIETTIVO: la resa incondizionata di Morucci e Faranda. Si sarebbero in qualche modo consegnati, offrendo un elenco di novantaquattro brigatisti da “bruciare” e la disponibilità a concordare una versione dei fatti gradita agli apparati istituzionali, in cambio dei benefici previsti dalla legislazione premiale per i terroristi “dissociati”. E così avvenne. A RAPIRE E A UCCIDERE Aldo Moro furono le Brigate Rosse, punto. Ma non basta. Poiché esiste un prima, un durante e un dopo la strage che il 16 marzo di quarant’anni fa ha cambiato la storia italiana e la vita della nazione. Dedichiamo perciò queste poche righe ai libri (appena pubblicati) di due giornalisti che, da angolazioni diverse, hanno pazientemente scavato nelle macerie della memoria perduta per poi ricostruire dalle fondamenta la genesi di un delitto politico che per la sua forza dirompente può essere paragonato all’assassinio di John Kennedy. Addentrarsi nelle pagine scritte dal direttore dell’“Espresso” è come percorrere le stanze diunappartamento seguendo una sottile scia di sangue. Hosostato a lungo nella sala dell’odio politico e mi sono segnato questa frase dell’ex brigatista Mario Moretti: “Stavamo processando Moro, santo cielo, con gli argomenti che erano stati di tutta la sinistra ma la destra è stata la beneficiaria dell’eliminazione di Moro. La destra che lo odiava, quando è venuto meno non ha più trovato ostacoli”. È un’ammissione cruciale che sembra confermare l’impressione del terrorismo “utile idiota” di forze molto più potenti. E ciò, senza stupidi complottismi o inutili disgrazia, compare la trasparenza come nuovo imperativo sociale.
Nonostante i risultati parlino chiaro, B. non molla la presa
Berlusconi non demorde, non ci sta, sta facendo di tutto per dimostrare dietrologie ma con la semplice verità dei fatti, ci aiuta a comprendere come quell’Italia orrenda non potesse in nessun modo accettare che personaggi come Moro e Pier Paolo Pasolini (massacrato tre anni prima) liberassero con le armi della politica e della cultura, il nostro Paese dalla cappa bigotta, reazionaria, ottusa, servile che lo soffocava. È quello che Umberto Eco ha definito fascismo eterno. È quello che ancora oggi continua ad avvelenare i pozzi, con altri mezzi e altre vesti. Le loro menti dovevano smettere di funzionare, proprio comeMussolini disse di Antonio Gramsci. Un odio che non avendo potuto “uccidere” l’energia creatrice di Pasolini, accusandolo delle peggiori perversioni, alla fine lo tolse fisicamente di mezzo. Un odio che aveva aggredito Moro fin dal luglio del 1960 quando, ricorda Damilano, “da segretario della Dc aveva bloccato il tentativo autoritario di Fernando Tambroni sostenuto dal Movimento sociale”. E, “quando nel 1964 cadde il primo governo Moro, nell’estate in cui l’Italia rischiò un colpo di Stato militare, “il Tempo” di Renato Angiolillo lo salutò così: “Con la tecnica molle, scivolosa e viscida di una piovra per quattro anni egli è andato avanti flaccido e cascante, come un piccolo visir, cupo, funereo, spargendo il suo cammino di cadaveri e rovine…”. Che poi all’Italia di quegli anni, fondamentale cerniera tra l’Est sovietico e l’Ovest a guida Usa, non fosse concesso di svolgere un ruolo autonomo nel Mediterraneo e in Medio Oriente, che il pericolo da eliminare fosse il ruolo e l’influenza di Moro e Berlinguer sulla politica estera di Roma emerge con chiarezza nel libro di Fasanella e dai documenti inglesi e americani desecretati. Stretto in questa morsa micidiale, il leader democristiano aveva un destino segnato. Se quindi la domanda è perché lo hanno ucciso la risposta sarà: perché non potevano farlo vivere. Le Br arrivano dopo.
00184 Roma, via di Sant’Erasmo n°2 lettere@ilfattoquotidiano.it che i voti della lega e salvini sono di sua proprietà e vuole dimostrare da subito una presidenza al centro destra l’altra al Pd è un riassuntino del piano studiato da lui e Renzi per il perdurare dell’ipoteca messa sul paese dai parassiti: “Io mi cucino la destra tramite la “coalizione” e tu piazzi i leopoldini in gran numero negli uninominali così dopo le elezioni siamo maggioranza”. Ma i risultati elettorali hanno stravolto il piano sia per i numeri con i quali il popolo ha sentenziato “basta i par as s i ti ” sia perché i più avveduti della coalizione di destra che del Pd M’è capitata tra le mani una vecchia fotocopia del certificato di proprietà della mia vecchia Opel del 2002 e, con mia grande sorpresa, ho trovato questa dicitura: veicolo con dispositivo antinquinamento. Pensando alla guerra che s’è scatenata contro le auto con motore diesel, non posso fare a meno di pensare, da ingegnere, che tutti i miei colleghi che per tanti anni hanno vantato la natura ecologica dei motori diesel, spingendo miliardi di persone ad abbandonare le auto a benzina, siano bugiardi o indegni del titolo di ingegnere. Mi sorge un dubbio: non sarà la ripetizione dello scherzo che fu giocato alle spalle di centinaia di milioni di possessori di auto alimentate con la famigerata benzina rossa? La grande giornalista Milena Gabanelli dimostrò che si trattava di una bufala e che la benzina verde era più pericolosa di quella rossa. Non sarà che l’industria ha bisogno, periodicamente di certe campagne per costringere miliardi di persone a cambiar macchina?
Antonio Padellaro - il Fatto Quotidiano