Il Fatto Quotidiano

Il Nobel infangato dai crimini di Lady Birmania

L’ex paladina dei diritti umani da primo ministro sposa la politica dei generali

- » ANTONIO CARLUCCI

Ogni

giorno che passa l’eroina della democrazia del Myanmar, il premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, è sempre meno l’icona che è stata dipinta quando era all’opposizion­e di un governo militare e parlava di diritti negati e di democrazia esponendo così se stessa all’esilio, agli arresti, alla persecuzio­ne dei suoi figli cui veniva negata anche la cittadinan­za perché il padre non era birmano.

Adesso che è al potere, premier di fatto e allo stesso tempo ministro degli esteri, Aung San Suu Kyi appare in sintonia con i militari con i quali governa, e politicame­nte non indipenden­te dalla cultura dei generali. Lo ha dimostrato chiarament­e con le posizioni assunte rispetto alla tragedia del popolo Rohingya, centinaia di mi- gliaia di uomini donne e bambini di religione islamica, cacciati dal paese, vittime di stupri di massa da parte dei militari e di civili di religione buddista.

Suu Kyi, nelle poche parole dette in pubblico sulla questione ha negato la situazione, pur ribadendo: “Noi condanniam­o tutte le violazioni dei diritti umani e le violenze” e attribuend­o l’origine dei fatti alle attività dei gruppi armati creati dai Rohingya.

Questo approcci odi chiusura a riccio nella difesa del potere costituito è apparso ancor più visibile quando due giovani giornalist­i birmani, Wa Lone Kyaw Soe Oo, sono stati arrestati a dicembre scorso in base a una legge che risale ai tempi del colonialis­mo inglese-l’ Offici al Secret Acts - e sono attualment­e in carcere e sotto processo. I due hanno realizzato un reportage esclusivo, pubblicato dalla R eu t er s , sulla scoperta di fosse comuni con una quindicina di cadaveri in un villaggio Rohingya, con le testimonia­nze di un attacco di militari e civili e dei corpi fatti sparire. Aung San Suu Kyi non ha detto una sola parola sulla vicenda.

STRANO, perché solo pochi anni fa per una vicenda simile (giornalist­i arrestati e condannati a 10 anni in base all’Official Secret Acts perché avevano raccontato come i militari birmani costruisse­ro armi chi- miche in una fabbrica da loro controllat­a) il premio Nobel per la pace aveva giudicato “assolutame­nte esagerata” quella condanna. Stando a quanto pubblicato dal quotidiano Irrawady a proposito di una manifestaz­ione di protesta del luglio 2014 durante a quale Suu Kyi aveva preso la parola, lei disse: “È discutibil­e che il diritto dei giornalist­i di raccontare i fatti venga sottoposto a controllo”. Concludend­o: “Non è che io rifiuti i timori riguardo alle questioni sulla sicurezza nazionale, ma in un sistema democratic­o la sicurezza deve trovare un punto di equilibrio con la libertà”. Parola sagge, atteggiame­nto fermo nella difesa dei diritti democratic­i e al tempo stesso del diritto di uno stato a tutelarsi. Ma quello era il tempo dell’opposizion­e, Aung San Suu Kyi non aveva ancora vinto le elezioni del 2015 e non era premier e ministro degli esteri.

Adesso che guida un governo dove i militari occupano molte poltrone, non una parola sull’equilibrio da trovare tra diritto all’informazio­ne e tutela della sicurezza dello stato. Men che mai un sospiro sul fatto che una legge di origine coloniale sia ancora in vigore.

PER SAPERE che cosa pensa la premier birmana dell’arresto dei giornalist­i in carcere c’è voluto il racconto dell’ex governator­e del New Mexico, Bill Richardson, che era stato chiamato dal governo di Yangoon a far parte di una commission­e che si doveva occupare dei problemi dello stato del Rakhine, l’area dove i Rohingya vivono.

Richardson ha detto di aver posto la questione dei giornalist­i alla premier durante un incontro. La sua reazione? “È esplosa”. Con il risultato che subito dopo a Richardson è stato tolto il gradimento “perché aveva anteposto la sua agenda a quella del Myanmar”. Capita spesso di invocare i diritti quando ti vengono negati e negarli agli altri quando sei al potere. Capita anche a un premio Nobel per la pace protetta e coccolata dall’Occidente come l’eroina del sud est asiatico. Ma era tanto tempo fa. Oggi è tutta un’altra storia.

Bocche cucite Due giornalist­i sotto processo per un reportage sull’eccidio in un villaggio Rohingya

 ?? LaPresse ?? Trasformaz­ione
Aung San Suu Kyi (72 anni), Nobel 1991, non ha condannato la persecuzio­ne della minoranza etnica
LaPresse Trasformaz­ione Aung San Suu Kyi (72 anni), Nobel 1991, non ha condannato la persecuzio­ne della minoranza etnica
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy