Non contano regole, tifosi e storia: è l’affare Red Bull
Dagli sport estremi ai quarti di Europa League
ITRIONFO NIBALI
È dello Squalo l’edizione 109 della Milano-Sanremo. Gara perfetta. Clamorosa. Rara. Ha avuto il coraggio di attaccare sul Poggio per poi arrivare in via Roma con tutto il gruppone alle spalle. Ora Nibali è uno dei 6 atleti della storia ad avere vinto i tre grandi Giri, e ora anche la Milano-Sanremo quarti di finale di Europa League avranno un inquilino ingombrante. Qualche indizio: è austriaco (anche se gira il mondo), fa sport estremi e, soprattutto, ti mette le ali. Indovinare è facile, anche se nel calcio il marchio Red Bull non ha ancora ottenuto gli stessi primati mondiali raggiunti in altri sport, dalla Formula Uno al motocross. La strada, però, sembra quella buona. Lipsia e Salisburgo, entrambe controllate dall’azienda, si sono sfiorate venerdì nell’urna di Nyon, con qualche imbarazzo da parte della Uefa. Il sorteggio, per il momento, ha evitato la sfida tra i tori rossi, ma il caso è emblematico del piano di investimento di Red Bull nel calcio.
L’articolo 5 del regolamento delle competizioni europee prevede che “n e s su n a partecipante a competizioni Uefa possa detenere, direttamente o indirettamente, la proprietà di un altro club partecipante alla competizione”. Del conflitto di interessi tra Lipsia e Salisburgo si era espresso a inizio stagione l’organismo di controllo del calcio europeo, dando il via libera ai bibitari.
IL MOTIVO? Da quando il Lipsia si è affacciato nelle Coppe europee, Red Bull è stata ben attenta a risultare soltanto come sponsor principale – e non come proprietario – del club austriaco, pur avendone il controllo de facto. Dunque tutto ok per la Uefa, nonostante i sospetti. Negli ultimi anni, poi, sono sempre più frequenti i trasferimenti s u ll ’ asse Lipsia- Salisburgo. Caso emblematico è quello di Naby Keita, ragazzo prodigio acquistato dal Salisburgo nel 2014 per poco più di 1 milione e rivenduto due anni dopo ai soci di Germania per 24. Stesso percorso di Dayot Upamecano (10 milioni), Konrad Laimer (7), Bernardo (6), Peter Gulacsi (3) e molti altri. Denaro fresco nelle casse del Salisburgo, club formalmente non detenuto da Red Bull – come riconosciuto dalla Uefa – ma che con i soldi di Red Bull vive, rispettando i limiti del fair play finanziario anche grazie alle cessioni “fai da te”.
Oggi la multinazionale controlla quattro club: oltre a Lipsia e Salisburgo ci sono il Red Bull Brasil, a San Paolo, e i New York Red Bull. Tutto sotto la supervisione di Gerard Houllier, storico ex allenatore del Liverpool.
Ovunque vada, Red Bull impone le stesse regole: compra un club e ne cambia nome, colori sociali e simbolo (neanche a dirlo, due tori rossi con un pallone al centro). E gli investimenti tecnici, al momento, funzionano. In soli sette anni il Lipsia è passato dalla quinta serie del campionato tedesco alla Champions League, primo club dell’ex Germania est a riuscirci dopo il crollo del Muro di Berlino. Nel resto del mondo, il Salisburgo ha vinto otto degli ultimi undici campionati, mentre il Brasil ha già scalato tre serie in sette anni e a New York, dove ancora non è arrivato il titolo americano, il pubblico del soccer ha ammirato star mondiali del calibro di Thierry Henry.
IL TUTTO non senza qualche polemica con i sostenitori più romantici, che non sempre si sono fatti andar bene il cinismo dell’azienda. A Salisburgo, per esempio, i tifosi avevano mal digerito l’addio alla vecchia maglia viola, soppiantata dall’uniforme d’ordinanza bianco-rossa. Quando i tifosi presentarono una petizione per chiedere un passo indietro alla società, il magnate dell’energy drink rispose con una provocazione: nella successiva partita casalinga fece riempire i seggiolini dello stadio con migliaia di occhiali con le lenti viola, in modo che i sostenitori potessero sfogare così i più reconditi piaceri cromatici. In Germania, invece, la legge vieta di inserire un marchio nel nome di un club. Problema risolto in fretta: il Lipsia è diventato RasenBallsport Lipsia, che tradotto suona “sport della palla sul prato”, ma che abbreviato è un più funzionale Rb Lipsia. Forse è anche per questi stratagemmi che il Guardian, due anni fa, definì il Lipsia “la squadra più odiata di Germania”.
Conflitto di interessi
La multinazionale controlla due squadre europee: Salisburgo e Lipsia che da anni si scambiano giocatori e chiudono operazioni milionarie