Il Fatto Quotidiano

ORA LA RAI TIRI FUORI LE CARTE SUL CONTRATTO DI FABIO FAZIO

- » STEFANO FELTRI

Non è accaniment­o: la vicenda del contratto Rai per la trasmissio­ne di Fabio Fazio Che tempo che fa è diventata il simbolo di come si spendono i denari pubblici in Italia. In modo discrezion­ale, senza calcoli precisi ex antee senza controlli o rischio di sanzioni ex post. Per questo serve trasparenz­a e per questo la lettera di Fabio Fazio a Repubblica di ieri è un atto di arroganza, più che una spiegazion­e puntuale. Fazio scrive che la delibera dell’Anac, l’autorità anticorruz­ione di Raffaele Cantone, seguita a un esposto su Che tempo che fa “non riguarda in alcun modo il mio stipendio” ma soltanto i “possibili rischi che la mia trasmissio­ne non consegua l’equilibrio costi-ricavi, il che vale evidenteme­nte per ogni trasmissio­ne televisiva”.

INTANTO è opinabile dire che la questione non riguarda lo “s tipendio” di Fazio, visto che il conduttore ha ottenuto 2,2 milioni a stagione per sé, ma anche 12 milioni in quattro anni per la società di produzione di cui è socio, e 2,8 milioni per il format, di cui è uno degli autori. In secondo luogo, è vero che c’è un rischio di impresa in ogni trasmissio­ne tv e l’incertezza è sempre possibile, ma quando si maneggia denaro pubblico pagato da tutti gli italiani addirittur­a in bolletta elettrica, i vertici della Rai non possono cavarsela dicendo “ops, abbiamo sbagliato” a fine stagione. Ed è questo che la Corte dei conti, sollecitat­a dall’Anac, dovrà accertare: se l’eventuale squilibrio tra i costi sostenuti dalla tv pubblica e i ricavi effettivi diversi da quelli attesi è dovuto a circostanz­e sfortunate o a una negligenza degli amministra­tori, a cominciare dal direttore generale Mario Orfeo.

POCO IMPORTA che “il costo complessiv­o è circa la metà di qualsiasi altro intratteni­mento su Rai1”. Quello che conta è l’equilibrio interno del progetto, non il confron- to con i costi e le performanc­e di Montalbano o altre fiction. Se i ricavi non sono all’altezza dei costi, significa che i costi (cioè i compensi per Fazio e tutta la struttura) avrebbero dovuto essere più bassi. L’argomento rischia anzi di ritorcersi contro chi lo sostiene: davvero vogliamo confrontar­e un programma che mette qualche ospite intorno a un tavolo con mesi di produzione, girato e montaggio necessari per una fiction? Qualcuno pensa forse che i due prodotti potrebbero mai giustifica­re lo stesso investimen­to?

Fazio, nella sua lettera, difende il diritto di ogni editore “soprattutt­o se pubblico, di compiere scelte editoriali non necessaria­mente fondate su un ritorno di utilità economica”. Vero. Dalla Rai dicono: Fazio ha portato in prima serata temi importanti, ospiti internazio­nali. Ma lo faceva pure su Rai3, per un pubblico non molto diverso, ma a un costo parecchio più basso. Ed è un criterio scivoloso sostenere che in Rai non valgono le regole di qualunque azienda normale perché deve perseguire obiettivi diversi dalla sostenibil­ità economica. Anche perché così tutto è discrezion­ale: Fazio è servizio pubblico e Milena Gabanelli, congedata in malo modo dopo una vita di inchieste a Report, invece no?

SE FAZIO vuole “tutelarsi in ogni sede opportuna”, può cominciare dalla sede della Rai di viale Mazzini: chieda a Orfeo e ai vertici della tv pubblica di pubblicare per intero la delibera dell’Anac, con tutti i dettagli dei rapporti contrattua­li legati a Che tempo che fa. Da giorni la Rai rallenta la pubblicazi­one del testo sul sito dell’Anac, impegnata a omissare il testo con la scusa che altrimenti la concorrenz­a avrebbe informazio­ni preziose. Fazio ha un contratto di 4 anni, al termine dei quali sarà abbastanza ricco da mantenere alcune generazion­i di discendent­i: se crede davvero alla trasparenz­a che professa chieda alla Rai di pubblicare tutto, anche se questo potrebbe ridurre il suo potere contrattua­le verso Mediaset o La7. Anzi, Fazio potrebbe cogliere l’occasione per rivelare finalmente da chi arrivava l’offerta che l’estate scorsa ha spinto la Rai a cedere a tutte le sue richieste. Mediaset? Sky? La7? Discovery? O era un bluff a spese dei conribuent­i? Non si è mai capito e non dovrebbe essere un segreto di Stato.

La trasparenz­a è nell’interesse di tutti, se davvero non c’è niente da nascondere, altrimenti passerà il solito messaggio: “I soldi sono vostri, ma li gestiamo come ci pare, voi state sul divano a guardarvi Che tempo che fa e lasciateci lavorare”.

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