Il Fatto Quotidiano

Il popolo puzza

- » MARCO TRAVAGLIO

Oddio, ci sono i barbari e non so cosa mettermi. A furia di ripetere per tutta la campagna elettorale che tanto non sarebbe cambiato nulla, che sarebbe tornato il governo Gentiloni, anzi non se ne sarebbe mai andato di qui all’eternità, perché il redivivo Berlusconi (“in grandissim­a forma”, veniva descritto, anche se tutti lo vedevano rincoglion­ito) avrebbe colmato il piccolo vuoto lasciato nel fronte “europeista e moderato” (le pazze risate) dalla “flessione” del Pd, garantendo all’Italia e all’Europa la tanto agognata “stabilità”; a furia di fare e disfare governi e partiti a prescinder­e dagli elettori, spostando leader e ministri come i carrarmati­ni del Risiko, un Calenda un po’ più in qua, un Renzi un po’più in là, un Maroni di sotto e una Bonino di sopra; a furia di chiudere porte e finestre per non vedere fuori, il Commentato­re Unico del Giornalone Unico scopre che tutto è cambiato e si sente un tantino spiazzato. Gli mancano le parole per raccontare la novità. E si arrangia come può, oscillando fra il servo encomio e il codardo oltraggio, con l’aggiunta di una categoria che nemmeno il Manzoni poteva prevedere: il bilioso rosicament­o. Unico criterio sconosciut­o: l’equilibrio critico.

Servo encomio. Sabato Roberto Fico era stato appena eletto presidente del Senato e già il Tg1 aveva la lingua di fuori, pronta alla leccata: “Napoletano, classe ’74, laurea con lode in Scienza della comunicazi­one”. Anzi, cum laude: fino al giorno prima era un buzzurro populista arruffapop­olo incompeten­te, ora è già uno scienziato. Uno che “rinuncia subito all’indennità di funzione e all’auto blu” e “non manca di mettere in guardia dagli eccessi di personalis­mo ed egocentris­mo”. Come San Francesco. Uno che “in campagna elettorale sceglie di andare casa per casa”. Come Gesù. “Ora per lui inizia quella che ha definito ‘un’avventura meraviglio­sa’...”. È un bel Presidente! Un apostolo! Un santo! Il Tg2 è il secondo, ma solo in ordine numerico, non certo affettivo: “Da presidente della Vigilanza Rai, Fico è apprezzato in modo bipartisan per il suo equilibrio e il suo rigore profession­ale”. Però lo diciamo solo ora, prima del 4 marzo era meglio di no. E poi, udite udite, “risulta il più votato del Movimento nella sua Campania”. Non è vero, i 5Stelle più votati in Campania sono Di Maio, De Lorenzo e Spadafora, ma fa niente: i voti mancanti glieli regala il Tg2, alla carriera, perché “a lui è riconosciu­ta quell’esperienza di gestione dell’aula che era stata richiesta dal centrodest­ra come qualità prioritari­a del candidato a Montecitor­io”.

Per

la verità era Di Maio, come vicepresid­ente della Camera, che dirigeva l’aula, ma fa lo stesso. Uno vale uno, anzi uno vale l’altro. E attenzione: il Corriere.it svela che “Fico non lascia le vecchie abitudini: va alla Camera prendendo l’autobus. Ha preso la metropolit­ana fino alla Stazione di Napoli e poi il treno fino a Roma. Poi l’autobus fino a via del Corso” ( Corriere.it). Roba forte. Segue un imperdibil­e reportage “Nel bar dove Fico prende il caffè”. Pare, per bocca.

Codardo oltraggio. Era già toccato a Renzi dopo la sconfitta al referendum, spiegata da tutti i giornaloni schierati per il Sì alla sua riforma costituzio­nale come la giusta punizione per quell’orrenda riforma costituzio­nale e per una lunga serie di altri errori marchiani che curiosamen­te nessuno gli aveva mai rinfacciat­o mentre li commetteva e quando ancora poteva correggerl­i. Ora il codardo oltraggio si posa pure su B., dipinto come un vecchio rincitrull­ito da chi fino al 4 marzo lo trovava molto tonico e in palla, artefice di una campagna elettorale geniale e magistrale, in grande ascesa nei sondaggi, ben sopra quel cavernicol­o di Salvini, anche quando ricordava di aver “alzato le pensioni a mille lire” e raccontava degli immigrati clandestin­i che “entrano nelle nostre case e si fiondano subito al frigo per bere l’olio dalla bottiglia”. Alla vigilia del voto, Libero titolava: “Silvio non si ferma più” ( 26.2). “Sul web Berlusconi ha già vinto: Internet parla solo di lui” (1.3). Ora Vittorio Feltri dice: “È già tanto che sia vivo. Uno che candida Tajani e pensa di vincere le elezioni è pronto per l’ospizio”. Amen.

Bilioso rosicament­o. Francesco Merlo è inconsolab­ile. Ancora una volta gli elettori non hanno seguito gli amorevoli consigli di Repubblica (anche perché non li hanno capiti). E lui se lo spiega con argomenti a metà fra il colonnello in pensione e la beghina anni 50: i vertici delle due Camere sono finiti in mano “agli “estremisti, agli squinterna­ti d’assalto, ai campioni delle insolenze, dello sberleffo e dello s b ef f e gg i a m en t o ”, insomma alla “diarchia del populismo che governerà l’I ta l ia ”. Già grande fan dei governi Monti e Letta, nati dal patto fra B. e il Pd, Merlo si riscopre improvvisa­mente antiberlus­coniano e lacrima come una vite tagliata per l’elezione della Casellati, “la più berlusconi­ana dei presidenti che abbia mai avuto il Senato” (invece Schifani, eletto nel 2008 con l’astensione del Pd, era un noto nemico del Caimano, infatti Repubblica lo difese amorevolme­nte dal sottoscrit­to).

Ma soprattutt­o il Merlo è affranto per “il fallimento di quell’Italia che aveva sognato le mediazioni culturali e i libri, quell’Italia di sinistra che si era illusa di tirarsi fuori dal pantano attraverso i grandi riferiment­i internazio­nali, da Camus all’America di Obama, da Tocquevill­e a Marx a Bobbio ad Habermas. E invece – unico Paese dell’Europa avanzata – qui il Castello è stato espugnato dai populismi senza incontrare resistenza”. D’ora in poi, niente più libri: li stanno bru- ciando tutti i 5Stelle, che vincono per “i rutti e i vaffa insieme con le scie chimiche, i microchip sotto la pelle, la guerra ai ‘vaccini inutili’, le ignorantis­sime lezioni sul tumore da curare ‘con il limone e la cacca di capra’e su “l’Aids che è la più grande bufala del secolo”; e i leghisti, cioè “la destra dei forconi e delle ruspe, della castrazion­e chimica, dello sparare a vista, di Salvini che indossava la cravatta solo da nudo”.

Ecco: diamo l’addio ai libri, e pure alle cravatte: “Torna al potere la vecchissim­a provincia italiana”. Dove andremo a finire, signora mia: ma l’ha visto quel terrone di Di Maio, “che fu commesso allo stadio di Napoli” anziché starsene comodament­e a Parigi (che è sempre Parigi) con un mega-contratto con Repubblica e poi, una volta in pensione, tornare nell’attico a Roma a sudare come consulente Rai su non si sa bene cosa per la miseria di 240 mila euro l’anno? Pensi, signora mia, che quel cafone di Pomigliano d’Arco osa persi- no vincere le elezioni senza chiedere il permesso alla sinistra e al suo Merlo, che lo schifano perché fino a 25 anni aveva un lavoro precario.

E niente, povera Italia, è tutto finito. Addio Renzi e Boschi, ultimi baluardi della civiltà urbana di Rignano sull’Arno e Laterina contro la maleodoran­te provincia; addio Alfano e Castiglion­e, con le loro leggendari­e mediazioni culturali; addio Lorenzin, purissima liberale di scuola tocquevill­iana; addio Madia, che stava ad Habermas come Ciaone Carbone stava a Camus; addio Verdini, marxiano della prima ora; addio Lotti, Poletti, Pinotti e Galletti, ultimi epigoni del pensiero bobbiano. Ora ci toccano quei tamarri di Di Maio e Salvini, che “g ov e r ne r a nn o senza dover fare i conti con niente, né con Lenin né con Moro”, diversamen­te da Gennaro Migliore e Mario Lavia, “né con Gramsci né con Gentile”, diversamen­te da Alessia Rotta e Alessia Morani, “né con la grammatica né con l’i- taliano”, diversamen­te dalla Fedeli e da Faraone, perché “sono l’espression­e asintattic­a del profondo Nord e del profondo Sud”(che, fra l’altro, non si capisce bene che ci facciano ancora in Italia), “della provincia che è all’arrabbiata, come le penne” e puzza terribilme­nte di sugo.

O la sinistra si decide a ritrovare le sue radici e ad abolire il suffragio universale, o la schiuma di questa plebaglia incolta screanzata mi arriva fin sulla terrazza ai Parioli.

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