Forza Italia spappolata: i filo-leghisti tramano e le donne comandano
Rottamati Romani e Brunetta, le poltrone vanno a Bernini, Gelmini & C.
Nordisti contro sudisti, filo- leghisti contro fan delle larghe intese, riformisti contro conservatori, centralisti contro territoriali. Bande, fazioni, correnti e cani sciolti. L’uno contro l’altro armati. Così si presenta il quadro all’interno di Forza Italia dopo la drammatica partita dei presidenti delle Camere. Passaggio che, nonostante alla seconda carica dello Stato sia assurta l’azzurra Elisabetta Alberti Casellati, ha lasciato veleni e macerie nel partito berlusconiano. A partire dall’acredine e dal risentimento di Paolo Romani e Renato Brunetta, con il primo che si vedeva già seduto sullo scranno più alto di Palazzo Madama e il secondo che, fiutata l’aria di rivolta dei deputati nei suoi confronti, per evitare una possibile sfiducia ha preferito sfilarsi per tempo.
COSÌ OGGI i parlamentari forzisti eleggeranno Mariastella Gelmini capogruppo alla Camera e Anna Maria Bernini al Senato, ricompensata dopo lo psicodramma della presidenza del Senato. Mentre Mara Carfagna dovrebbe ricoprire la carica di vicepresidente di Montecitorio. Proprio queste nomine, insieme a quella di Casellati, dimostrano la nascita di un partito nel par- tito: quello delle donne. Mai, infatti, il gentil sesso ha avuto tanto potere tra i berluscones. Nonostante tra alcune di loro non corra buon sangue, in questo complicato passaggio le amazzoni berlusconiane sono riuscite a fare asse sotto l’abile coordinamento della Gelmini, che ha buoni rapporti con tutte. E il poker parlamentare Casellati-Bernini-Gelmini- Carfagna, sostenuto dalle altre, è lì a dimostrarlo.
SOTTO ACCUSA, intanto, è finito il partito del Nord, ovvero i forzisti che spingono per il partito unico con la Lega di Salvini, come Giovanni Toti, e quelli sospettati di aver favorito la Lega nella compilazione delle liste, assegnando al Carroccio troppi collegi uninominali sopra il Po. Su tutti Niccolò Ghedini e Licia Ronzulli. Fronte che continua a essere molto potente: Ghedini, per esempio, è stato il primo a virare su Casellati per chiudere l’accordo con Lega e 5Stelle. Dell’asse del Nord fanno parte anche Romani e Brunetta, ora in secondo piano. Ieri Toti è tornato alla carica. “FI si è scolorita, a destra ci vuole il partito unico con la Lega”, ha ribadito il governatore ligure, principale supporter di “Lega Italia”. “Forza Italia sembra l’An di metà anni Duemila, quando i colonnelli di Gianfranco Fini stavano già tutti con Berlusconi e facevano il suo gioco dentro Alleanza nazionale”, fa notare un autorevole esponente azzurro. Mentre sulla testa di Berlusconi sono ricomparsi i processi: ieri è stato rinviato a giudizio nel Ruby ter e ha deposto come testimone in quello contro Claudio Scajola. Al partito del Nord si contrappone quello del Sud. Carfagna in primis. “Toti è condizionato dalla sua esperienza di governo in Liguria. Forza Italia non solo non deve fondersi con la Lega, ma deve recuperare la sua identità”, ha detto ieri in un’intervista al Mattino.
SULLO STESSO fronte, e nonostante i recenti scontri con Carfagna, c’è Nunzia De Girolamo, rimasta fuori dal Parlamento, che sul QN mette in guardia dal fatto che “non solo al Nord, ma anche nel Mezzogiorno ci sono tanti amministratori locali pronti a spostarsi sul progetto Lega”. Sul piede di guerra anche Prestigiacomo, Jole Santelli, Roberto Occhiuto e Gianfranco Miccichè. Il malcontento verso i vertici nordisti al Sud è notevole, a partire dai consiglieri regionali di Puglia, Campania, Sicilia. Le regioni meridionali, infatti, sono sempre state un serbatoio di voti: qui FI andava bene anche quando perdeva. Aver snobbato il Sud in campagna elettorale viene considerato un errore imperdonabile.
Nel mezzo, a fare da cu- scinetto, ci sono i cosiddetti “ce nt r is ti ”. Fedelissimi di Berlusconi ma distanti da Salvini. Esclusi dalla compilazione delle liste (a parte Tajani), spingono per una sterzata in senso anti-leghista, nel segno del rinnovamento del partito. È tutto quel mondo che ruota intorno a Gianni Letta e Fedele Confalonieri, ma che vede in campo anche Tajani, Andrea Ruggeri, Annagrazia Calabria, Deborah Bergamini, l’ex sindaco di Pietrasanta Massimo Mallegni. Esponenti che, in asse col fronte sudista, non escludono dal loro orizzonte governativo il Pd, ovvero le larghe intese, se l’asse Salvini-Di Maio dovesse fallire.
All’orizzonte, intanto, s’intravede il prossimo scontro: la nomina di un coordinatore unico che possa riprendere le redini del partito come un tempo fecero Scajola e Verdini. Un nome che gira è quello di Maurizio Gasparri, slegato dalle varie correnti. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo l’asse di ferro Ghedini- Toti- Ronzulli.
GIOVANNI TOTI
Ora Forza Italia si è scolorita, a destra ci vuole il partito unico con la Lega di Matteo Salvini. Non trattare con Di Maio sarebbe anti-democratico