“Svalutato il sostegno di Cosa Nostra a D’Alì” Smontata l’assoluzione dell’ex senatore FI
LLOGICA”. Durissima motivazione della Cassazione per spiegare l’annullamento con rinvio dell’assoluzione in appello, a Palermo, dell’ex senatore di Forza Italia ed ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.
La decisione è del 18 gennaio, ma in questi giorni la Cassazione ha scritto le motivazioni con considerazioni severe nei confronti dei giudici d’Appello. Secondo la Suprema Corte hanno "illogicamente e immotivatamente svalutato il sostegno elettorale di Cosa Nostra a D’Alì”. Era stato assolto per i fatti contestati successivi al 1994 e prescritto per quelli antecedenti. Protestano gli avvocati Gino Bosco e Stefano Pellegrino: “Non possiamo che prendere atto, con disappunto, delle infelici motivazioni espresse dalla Cassazione che si è spinta un po’ oltre con valutazioni di merito”.
Il collegio presieduto da Paolo Antonio Bruno ragiona così: “Rispetto alla gravità di tali condotte, non appare logico operare una cesura netta tra i due periodi e non attribuire alcun rilievo postumo alla vicinanza” di D’Alì “a personaggi (mafiosi, ndr) di primissimo piano e all’asservimento a operazioni immobiliari ed economiche funzionali agli interessi della cosca che possono dirsi accertati”. A cosa si riferisce la Cassazione? Al fatto che D’Alì ha svolto attività “a beneficio di Totò Riina”. L’ex senatore si era intestato “fittiziamente un terreno... Si era prestato prima a mantenere la titolarità formale nonostante l’avvenuto trasferimento al mafioso e l’incas- so sotto banco del prezzo e, poi, alla formalizzazione della compravendita nei riguardi di un prestanome, ricevendo il pagamento ufficiale di parte del prezzo in assegni e restituendolo in contanti, con un’utilità della cosca anche in termini di riciclaggio”.
Dunque, argomenta la Suprema Corte, è “illogico” valutare che la restituzione dei soldi del terreno a Cosa Nostra nel gennaio 1994 possa essere una prova della fine dei rapporti tra D’Alì e la mafia o che la “preponderante vittoria” del centrodestra nel ‘94 “non assurge di per sé a elemento sintomatico di un patto elettorale politico-mafioso”. Spiega la Cassazione: "Si dubita della logicità del ragionamento della Corte palermitana nel momento in cui non prende una posizione netta sulla rilevanza al supporto elettorale fornito da Cosa Nostra a D’Alì non solo nel 1994, ma anche nel 2001. Non ha spiegato se e in che termini il rinnovato appoggio del 2001 sia stato ritenuto dimostrato e le ragioni per cui esso non avesse un significato contra reo sia come concretizzazione di un accordo politico mafioso, sia in termini” di utilità reciproca tra D’Alì e Cosa nostra. Quanto alla condotta dell’ex senatore, è stata “non solo incompatibile con l’osservanza dei doveri istituzionali, ma altresì sintonico con la vicinanza e il debito che gravava sull'imputato nei confronti della consorteria che l’aveva sostenuto". Ed ecco le conclusioni della Cassazione: "Si tratta di profili che l’approccio settoriale prescelto dalla Corte d’appello non ha permesso di sceverare adeguatamente e logicamente nel suo complesso “anche perché ha negato “la rinnovazione dell’istruttoria” necessaria per approfondire.