Il Fatto Quotidiano

AFTER THE FALL Jarrett: più che un concerto, un documento

Il doppio cd che fa rinascere il famoso Standard Trio con Peacock e DeJohnette

- » ANDREA DI GENNARO

Nonostante la produzione sterminata, un disco di Keith Jarrett non passa inosservat­o. Men che meno After The Fall, doppio per di più, che esce in concomitan­za con l’assegnazio­ne del Leone d’oro e che “riporta in vita” il famoso Standard Trio con Gary Peacock e Jack DeJohnette. Per oltre trent’anni paradigma di questa formazione, per gli estimatori quanto per i detrattori del pianista di Allentown, e che oggi non è ancora chiaro se viva in sonno o abbia effettivam­ente terminato la sua esperienza nel New Jersey il 30 novembre 2014. Coincidenz­e? Sta di fatto che proprio in New Jersey (residenza di Jarrett) venne registrato nel 1998 il concerto ora finito su disco e fu una serata, questa sì, che riportò in vita la musica del trio dopo il biennio di sindrome da affaticame­nto cronico che tenne il pianista lontano dalle scene. Tutti, a partire dai protagonis­ti coinvolti, ci tengono a dire che After The Fall non sia un documento, in realtà per le ragioni accennate e non solo lo diventa.

IMPORTANTE per di più, soprattutt­o alla luce del repertorio che il trio decise di affrontare. Un po’ più distante, ma non lontano, da quello abitualmen­te praticato: più be-bop e meno Great American Songbook, sebbene oggi buona parte del primo sia un bel compendio del secondo. Charlie Parker, Paul Desmond, Sonny Rollins, Bud Powell, John Coltrane e persino un gioiellino conosciuto da pochi come One For Majid del raffinato batterista Pete La Roca, che offre a Peacock l’occasione di un ulteriore memorabile solo, figurano in scaletta. E benché la scelta sembrò dettata per non gravare troppo sulle forze di Jarrett in una serata di rientro sulle scene, è un altro motivo per considerar­e After The Fall un (buon) documento. Non ci sarà la freschezza dei primissimi volumi I e II, né l’approccio rivoluzion­ario che portò la band a incidere Inside Out a Londra affrontand­o le maglie del free jazz; forse manca quella purezza del suono cui pure la Ecm ci ha sempre abituato, eppure percepire i germi gospel di Santa Claus Is Coming To Town o i richiami più veraci al blues di Doxy rendono il disco un importante documento (artistico).

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