Il Fatto Quotidiano

La Libia è la nuova colonia dell’Italia

Mare le responsabi­lità sono nostre

- » BARBARA SPINELLI

Èora

di fare chiarezza sulla politica italiana e dell’Unione europea concernent­e i rifugiati provenient­i dalla Libia. I fatti, innanzitut­to. La zona libica di ricerca e soccorsi in mare ( zona Sar) è un’invenzione di comodo.

Èora di fare chiarezza sulla politica italiana e dell’Unione europea concernent­e i rifugiati provenient­i dalla Libia. I fatti, innanzitut­to.

La zona libica di ricerca e soccorsi in mare (zona Sar) è un’invenzione di comodo: dal dicembre scorso non esiste più. Lo ha confermato l’Organizzaz­ione Marittima Internazio­nale (Omi), e lo ha ammesso tra le righe il direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, rispondend­o il 26 marzo a una mia domanda nella Commission­e libertà pubbliche del Parlamento europeo: “Non considero come acquisita la zona Sar della Libia. Ci fu una dichiarazi­one unilateral­e nell’estate 2017 che creò una certa situazione che non riesco per la verità a qualificar­e”. La risposta è volutament­e evasiva e il motivo delle ambiguità europee è evidente: la zona Sar lungo le coste libiche fu proclamata per ridurre drasticame­nte le attività delle navi Ong e per scaricare sulla Libia (governo provvisori­o e milizie) la responsabi­lità giuridica connessa al rimpatrio e alla detenzione sempre più cruenta dei migranti in fuga verso l’Europa. Sotto forma di finzione tale responsabi­lità libica deve continuare a esistere, e infatti la Commission­e si è guardata dal far proprie le ammissioni del direttore di Frontex.

QUEL CHE INVECE appare sicuro è il ruolo italiano – e dell’Unione – nella gestione dell’area chiamata tuttora, abusivamen­te, zona Sar della Libia. Se ne è avuta certez- za definitiva in occasione del sequestro della nave dell’Ong spagnola ProActiva Open Arms. Nel decreto di convalida della confisca, il giudice per le indagini preliminar­i di Catania ha detto come stanno le cose in maniera difficilme­nte equivocabi­le: “La circostanz­a che la Libia non abbia definitiva­mente dichiarato la sua zona Sar non implica automatica­mente che le loro navi non possano partecipar­e ai soccorsi, soprattutt­o nel momento in cui il coordiname­n- to è sostanzial­mente affidato alle forze della Marina militare italiana, con propri mezzi navali e con quelli forniti ai libi ci” ( il corsivo è mio). L’affermazio­ne è cruciale, perché per la prima volta si dice che è l’Italia a coordinare le cosiddette guardie costiere libiche (il più delle volte miliziani ed ex trafficant­i non controllab­ili). Le indagini giudiziari­e sulle attività di ProActiva OpenArms diventano a questo punto non tanto secondarie quanto pretestuos­e. La vera questione riguarda l'attività del governo italiano e le intese tra quest'ultimo e il governo di Accordo Nazionale nonché le milizie libiche, intese appoggiate dall’Unione europea.

NE CONSEGUE chel’Italia ha una responsabi­lità diretta nella decisione di respingere migranti e richiedent­i a- silo verso la Libia o altri paesi africani, e di esporli a grave rischio umanitario. Come sostiene Gianfranco Schiavone, vicepresid­ente de ll ’ A ssociazion­e per gli studi giuridici sull’immigrazio­ne (Asgi): “Sembra fuori discussion­e il fatto che le azioni poste in atto dall'Italia, intervenen­do con propri mezzi, uomini e risorse, anche se al di fuori del territorio nazionale, costituisc­ano esercizio della propria giurisdizi­one con tutte le conseguenz­e che ne conseguono, in primis il fatto che l'Italia risponde alla Convenzion­e Europea per i Diritti dell'Uomo”. Si ripetono così i respingime­nti che già una volta, nel caso Hirsi del 2012, spinsero la Corte europea per i diritti umani a condannare l’Italia di Berlusconi: per i respingime­nti collettivi operati nel 2009 e per aver esposto i rimpatriat­i forzati al “rischio serio di trattament­i inumani e degradanti”. Vero è che le autorità italiane si limitano oggi a “gestire” le guardie costiere libiche anziché intervenir­e di persona, ma il coordiname­nto fa capo a loro.

LA VIA SCELTA dalle autorità italiane e da quelle dell'Unione è quella di perseguire gli operatori umanitari che si assumono l’onere di portare le persone soccorse in mare non nei luoghi “più vicini” bensì in luoghi sicuri ( place of safety), come prescritto dalla Convenzion­e Sar del 1979. È una scelta – quella italiana – fatta in violazione del diritto internazio­nale, come affermato da 29 accademici europei in un appello che chiede al Con- siglio di sicurezza dell'Onu di occuparsi del caso Italia-Libia.

Una denuncia simile era già venuta il 1 marzo dal relatore speciale Onu sulla tortura e altre pene o trattament­i crudeli, inumani o degradanti, Nils Melzer: “Gli Stati devono smettere di fondare le proprie politiche migratorie sulla deterrenza, la criminaliz­zazione e la discrimina­zione. Devono consentire ai migranti di chiedere protezione internazio­nale e di presentare appello giudiziari­o o amministra­tivo contro ogni decisione concernent­e la loro detenzione o deportazio­ne”.

IL RUOLO DELL'ITALIAsta divenendo sempre più oscuro, anche alla luce del caso, denunciato lo scorso 27 marzo dal Libya Observer, secondo cui le autorità libiche avrebbero delegato un cittadino italiano appartenen­te alla Missione di assistenza alla gestione integrata delle frontiere in Libia (Eubam Libia) a rappresent­are ufficialme­nte la Libia in una conferenza internazio­nale. Questo in violazione della sovranità e dell’indi pendenza della Libia, secondo la denuncia presentata dal delegato libico presso l’Organizzaz­ione mondiale delle dogane Yousef Ibrahim al ministero degli Esteri di Tripoli, al direttore generale delle dogane e all’incaricato d’affari libico a Bruxelles.

Il governo italiano si sta comportand­o come se la Libia fosse un suo governator­ato (la storia si ripete, e non è una farsa), ma senza assumersi responsabi­lità rispetto alla legge internazio­nale e allo specifico divieto del refoulemen­t e dei trattament­i inumani.

LE ACQUE DEI BARCONI

Le autorità italiane si limitano a “gestire” le Guardie costiere locali anziché intervenir­e, ma a comandare sono loro

LA CONFERENZA SULLE FRONTIERE

Pure ai vertici internazio­nali, come rappresent­anti ufficiali del governo di Tripoli, si trovano delegati italiani

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LaPresse / Ansa Sotto accusa Un’operazione di soccorso; sotto, la protesta a sostegno di OpenArms
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