Il Fatto Quotidiano

Bistecche di tigre

- » MARCO TRAVAGLIO

Nel 1997 Romano Prodi aveva vinto le elezioni da appena un anno e già gli “alleati” Bertinotti & C. cannoneggi­avano il suo primo governo. Indro Montanelli, sul Corriere , raccontò di aver sognato il Professore che li strapazzav­a con un piglio tanto risoluto quanto insospetta­to: “Via via che il presidente parlava, un’espression­e di incredulit­à si soffondeva sul volto degli astanti. ‘Ma da dove esce, questo Prodi?’, si udiva sussurrare. E già cominciava a circolare la voce – poi attribuita naturalmen­te al Cavaliere – ch’era stata sua moglie, la brava e previdente signora Flavia, a spedire pochi giorni prima un fiduciario da alcuni suoi amici in Bengala per procurarle un filetto di tigre – ma di tigre da giungla, non da circo equestre – che poi aveva somministr­ato al marito come castrato della Padania. Sciocchezz­e naturalmen­te, ma che servono a rendere il clima creato nell’aula dal discorso del presidente. L’unico che riuscì a raggiunger­lo e ad aggrapparg­lisi alle falde della giacca non fu... né un cronista né un fotografo, ma un ansimante Bertinotti che Prodi, con quella bistecca di tigre in corpo, si trascinò dietro per un buon tratto. E a questo punto mi svegliai, perché, come avrete capito, si trattava soltanto di un sogno”. Voi non ci crederete, ma anch’io nel mio piccolo ho fatto un sogno sulla bistecca di tigre. Ero nascosto dietro una porta del Nazareno e origliavo una riunione fra Matteo Renzi, Maurizio Martina, Dario Franceschi­ni, Andrea Orlando e Luigi Zanda.

Renzi: “Che volete, ragazzi? Io ’un ci ho tempo da perdere, tanto s’è già deciso tutto collegialm­ente quel che volevo io, no? Riassumo: ’un si parla con nessuno, men che meno coi populisti scrocconi ignoranti della Casaleggio&Associati. Manco se li si incontra per strada. Metti che uno ci dice a tradimento: ‘Facciamo insieme qualcosa per i poveri’. E noi ’un si sa che rispondere: manca solo che ci costringan­o a fare una cosa di sinistra, così poi i nostri ci chiedono perché noi ’un ci si era mai pensato da soli. Che poi i grillini son di destra: ora li si manda al governo con Salvini e poi si gode e si ride di gusto”.

Orlando: “Ridi, ridi. Che avrai poi sempre da ridere... Ma perché dovremmo dire no a chi ci chiede aiuto per fare qualcosa di sinistra che non abbiamo mai fatto? E in che senso loro sarebbero di destra e noi di sinistra?”.

Renzi: “Sta forse parlando quell’Orlando che Napolitano mi implorò di promuovere ministro della Giustizia e io magnanimo accondisce­si? Quello che mi fece la riforma-bavaglio delle intercetta­zioni per imboscare quelle ancora segrete fra me e il mi’ babbino caro su Consip?”.

Orlando: “Pardòn, Matteo, allora come non detto”.

Franceschi­ni: “L’Aventino è assurdo: siamo il secondo partito, possiamo evitare un governo Di Maio-Salvini, perché mai stare all’opposizion­e prima di sapere chi va al governo? E che facciamo se Mattarella ci chiede di entrare in partita? Diamo del populista pure a lui?”.

Renzi: “Franceschi­ni... Franceschi­ni... questo nome non mi è nuovo... Ah sì, quello che mi appoggiò alle primarie fin dal 2013, poi tradì Letta per far fuori quel governo di pippe e metterci il mio, poi ’un disse bah sulle mie grandi riforme finché non perdemmo il referendum, e anche all’ultimo congresso si schierò con me per garantire ai suoi un bel po’ di posti sicuri in lista?”.

Franceschi­ni: “Ma no, Matteo, che hai capito, mi sarà scappato un contro, ma io sono sempre pro. Volevo dire che nemmeno Mattarella ci schioderà dall’opposizion­e a prescinder­e, senza se e senza ma! E poi l’Aventino è un bellissimo posto, ci sto da Dio”.

Renzi: “Bravo, a cuccia. Altri interventi?”.

Zanda: “Io penso che stiamo sbagliando tutto: se Mattarella ce lo chiede, noi dovremmo...”.

Renzi: “Alt! Se non sbaglio sei il nostro ex-capogruppo al Senato che mi dava sempre ragione anche quando avevo torto? E avallava fiducie, canguri e tagliole quando riducevamo il Parlamento a un’aula sorda e grigia? E ripeteva a pappagallo le puttanate che m’inventavo per coprire i miei su Consip, tipo ‘attacco eversivo alle istituzion­i’ che a ripensarci divento rosso?”.

Zanda:“Ma no,Matteo, c’è un equivoco. Io dicevo che, se Mattarella chiama, non dobbiamo parlare neanche con lui”.

Renzi: “Ecco, meglio così. Allora tutti d’accordo?”.

Martina: “Ehm, con rispetto parlando, se posso permetterm­i e se non è troppo disturbo, in qualità di reggente, io penso...”.

Renzi: “Scusa, Mauri, ma veramente hai creduto alla storia del reggente? Ma guardati: manco ti reggi in piedi e vuoi fare il reggente? Sii buono. Fai come si è sempre fatto: io la mattina ti mando un whatsapp con una cosetta da dire, tu la dici e poi vai al bar a giocare a biliardo. E soprattutt­o non pensi”.

Martina: “Ah, ok, come dici tu. È che stamane non mi era arrivato niente e allora pensavo di avere il giorno libero”.

Renzi: “Vabbè, mi pare che si è chiarito tutto. Ricapitola­ndo: noi ’un ci siamo per nessuno. Se chiama Mattarella, facciamo l’accento svedese. Così il Pd rinascerà più bello e forte che pria. E ora scusate, ma ci ho il mi’ babbo e il Lotti che rompono perché i pm li chiamano e non sanno più che cazzo inventarsi”.

L’ex (?) segretario uscì spingendo un carrello con quattro dossier. E gli altri, finalmente soli, confabular­ono ancora un po’. “È ufficiale: quello è fuori come un balcone”. “No, come un geranio”. “Eppure non so che mi succede, ma quando c’è lui a me si bloccano gli arti”. “A me si paralizza la bocca”. “A me si secca la lingua”. “A me spariscono le palle: non che le abbia tanto sviluppate, ma quando lo vedo, puf: non me le sento più”. “Pensate che io continuo a trovarlo molto sexy...”. “E farci una bella scorpaccia­ta di bistecche di tigre? Ho letto da qualche parte che Prodi, una volta, se le faceva arrivare direttamen­te dal Bengala”. “Chiamiamol­o: chi ha il numero?”.

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