Lega, indagine su 48 milioni tra Svizzera e paradisi fiscali
L’analisi dei bonifici dopo l’avvio dell’inchiesta sul Carroccio. Saranno ascoltati Maroni e Salvini
Investimenti finanziari in paradisi fiscali europei dopo l’inizio dell ’ inchiesta s u l l a Lega (2013-2015, periodo in cui erano segretari Roberto Maroni e Matteo Salvini). È l’oggetto di un fascicolo aperto dalla Procura di Genova: l’ipotesi di reato è riciclaggio. Non ci sono indagati. Ma i pm hanno fatto richiesta di acquisizione della documentazione presso le banche straniere, non occorrendo la rogatoria perché si tratta di Paesi europei. Appena esaminate le carte, dovrebbero essere sentiti i responsabili della Lega di quegli anni, quindi gli stessi Maroni e Salvini (non indagati). La saga dei conti leghisti, iniziata con l’inchiesta sulla gestione di Francesco Belsito che chiamò in causa il cerchio magico di Umberto Bossi, non è finita. Perché cercando di rintracciare il denaro del Carroccio che doveva essere sequestrato dopo i processi, i pm genovesi e la Finanza si sono imbattuti in conti “prosciugati” e in operazioni finanziarie che “meritano di essere approfondite”. Operazioni compiute, appunto, dopo l’iniz io dell’inchiesta e quindi non più riferibili al periodo di Bossi.
TUTTO COMINCIAquando il 26 luglio scorso il tribunale di Genova condanna – in primo grado – Stefano Aldovisi, uno dei revisori contabili della Lega di Bossi. Cercando di recuperare 56 milioni che dovrebbero tornare nelle casse dello Stato, i giudici chiedono ad Aldovisi ben 40 milioni. Ma il commercialista, assistito dal legale milanese Stefano Goldstein, non ci sta: giura di aver lavorato gratuitamente e di non aver mai toccato quel denaro. E presenta un esposto cercando di indicare ai magistrati dove rintracciare i soldi. I pm genovesi Paola Calleri e Francesco Pinto si imbattono in diversi conti correnti dove sarebbero stati depositati 19,8 milioni. Parliamo della filiale vicentina di Unicredit e della sede milanese di Banca Aletti. Da qui, nel 2013, i denari sarebbero andati su due nuovi conti aperti presso la filiale milanese della bolzanina Sparkasse. A consigliare l’istituto altoatesino sarebbero stati Domenico Aiello, avvocato di fiducia di Maroni e allora presidente dell’Organismo di Vigilanza della banca, e il suo collega Gerhard Brandstatter, allora presidente della Fondazione Sparkasse, oggi presidente della banca (nessuno dei due è indagato).
Qui si verificano gli episodi su cui la Procura ha acceso un faro: il conto, tanto per cominciare, ha una vita brevissima. Aperto nel gennaio 2013 - disse all’epoca Brandstatter - avrebbe cessato la sua operatività nel luglio successivo. Sette mesi. Aiello disse: “Con Maroni segretario, il partito ha aperto un conto in Sparkasse che poi Salvini ha chiuso trasferendo il residuo in Banca Intesa nel 2014”. Ma perché tenere aperto un conto per così poco tempo? “Erano in realtà due conti: un normale easy-business e un altro per deposito titoli. Gli interessi offerti dalla banca erano del 2,5, poi calati all’1,9. Alla Lega non bastava”, hanno raccontato al cronista fonti della banca. Ma il punto per i pm e gli investigatori è anche un altro: emerge adesso che da questi conti nel periodo delle indagini sono usciti soldi per compiere operazioni finanziarie in un paradiso fiscale europeo. Niente di illegale, sempre che dalle carte in corso di acquisizione dai pm non venga fuori che il denaro è quello del tesoretto oggetto dell’inchiesta sul sistema Belsito. E che nella Lega qualcuno non l’abbia sottratto alla giustizia. Di qui l’ipotesi di reato di riciclaggio (finora non è dimostrata e non ci sono indagati). C’è poi da capire di quale natura siano gli investimenti finanziari compiuti dalla Lega, visto che una legge del 2012 prevede che i partiti possano investire le proprie risorse soltanto in titoli di Stato dei paesi Ue.
Finora, ricordano le cronache, sui conti della Lega i magistrati hanno trovato appena 2 milioni. Nel gennaio scorso Salvini parlò di ap- pena 13mila euro. Cifre lontanissime da quelle contenute nell’esposto presentato in procura dove per il 2011 si parlava di 47 milioni. Anche se risulta che ultimamente dall’estero stia rientrando del denaro.
Ma la questione si arricchisce di un ulteriore elemento di cui parlerà L’Espresso di domani: è la storia dell’associazione Più Voci. Una onlus considerata di area leghista. Secondo l’inchiesta del settimanale, è stata creata da tre commercialisti vicini a Salvini. Più voci nasce nell’ottobre 2015, periodo nel quale stanno scavando i pm genovesi perché siamo nel pieno dell’inchiesta sulle finanze leghiste. Secondo L’Espresso, l’associazione - che non ha sito web - sarebbe stata usata dalla Lega anche per ricevere finanziamenti dalle aziende, denari girati subito dopo dal partito a società vicine. Le indagini dei pm genovesi finora non hanno preso in considerazione Più voci, nè i suoi responsabili. Ma ora i magistrati potrebbero verificare se l’o nl u s compaia nei movimenti di denaro sui conti correnti oggetto dell’attività investigativa. Così come verificheranno un altro elemento sostenuto dall’E s pr es so , cioè che nel maggio 2014 sarebbero stati investiti milioni in titoli forse anche Arcelor-Mittal (quelli dell’Ilva). Per questo sarà utile sentire i vertici della Lega.
Il pezzo dell’Espresso Nel mirino la Onlus “Più voci”: sarebbe stata usata per ricevere fondi