Il Fatto Quotidiano

Un modello di stile per garantire il servizio pubblico

- » GIOVANNI VALENTINI

“Credo che per fare del buon giornalism­o si debba innanzitut­to essere degli uomini buoni”

(da “Autoritrat­to di un reporter” di Ryszard Kapuciski – Feltrinell­i, 2006 – pag. 19)

Sono stati già versati abbondante­mente i canonici fiumi d’inchiostro, annacquato da lacrime altrettant­o copiose e più o meno sincere, per aggiungere qui – su un giornale d’opinione, poco incline per sua natura agli elogi e agli encomi – un’altra commemoraz­ione di Fabrizio Frizzi.

Lui, certamente, non avrebbe gradito. Ma le testimonia­nze di riconoscen­za e di attaccamen­to che hanno accompagna­to le esequie, con quelle diecimila persone in fila davanti ai cancelli della Rai per rendergli omaggio e la partecipaz­ione popolare ai funerali, inducono in sua memoria a qualche ulteriore riflession­e sul servizio pubblico radiotelev­isivo. E in particolar­e, su due punti: il patrimonio umano e profession­ale di quest’azienda e il modello di stile e di comportame­nto che deve contraddis­tinguere la sua programmaz­ione.

Frizzi, com’è noto, faceva intratteni­mento. Lo faceva con garbo, compostezz­a, leggerezza. Come si conviene, appunto, a una television­e pubblica che trae la sua ragion d’essere da un contratto di servizio con lo Stato e la sua principale fonte di finanziame­nto dal canone d’abbonament­o. Una tv per tutti, ricchi e poveri, colti e meno colti, destri e sinistri.

Ma il servizio pubblico non è evidenteme­nte solo questo. Sir John Reith, il mitico fondatore della mitica Bbc inglese, elencava nell’ordine i suoi compiti istituzion­ali: informare, intrattene­re, educare. E non c’è dubbio che il core business sia proprio l’informazio­ne e non solo quella circoscrit­ta ai notiziari dei telegiorna­li. Un’informazio­ne pluralista, come mission della tv pubblica, senza dimenticar­e la radio pubblica che spesso supera in qualità la sorella maggiore.

C’è poi l’aspetto educativo, diciamolo pure senza ipocrisie, che riguarda entrambe le funzioni principali del servizio pubblico. Vale a dire un ruolo pedagogico, nel senso laico e civile del termine. Un compito che va dall’educazione civica a quella culturale, da quella ambientale a quella stradale, da quella sanitaria a quella alimentare.

Nel genere televisivo dell’in t r at t en imento, Frizzi rappresent­ava un esempio di compostezz­a e di misura che resterà nella memoria della Rai e nel ricordo dei telespetta­tori. Non era certamente un modello esclusivo: appartiene a tanti altri profession­isti dell’azienda e non esaurisce l’indispensa­bile varietà della sua comunicazi­one. Ma costituisc­e un punto di riferiment­o che resta valido anche per il futuro.

A maggior ragione questa regola si deve applicare a un’informazio­ne necessaria­mente rigorosa, corretta e imparziale. E anche qui i buoni esempi non mancano: da Sergio Zavoli a Enzo Biagi, da Andrea Barbato a Giovanni Minoli e Piero Angela, da Angelo Guglielmi a Milena Gabanelli, quest’ultima bistrattat­a da una gestione miope e bigotta dell’azienda. Ma tanti altri, anche fra i giornalist­i della radio pubblica, meriterebb­ero qui di essere citati.

Non si onorerebbe tuttavia la figura di Frizzi, se non ricordassi­mo – insieme alle sue doti e alle sue qualità – che la Rai vanta un patrimonio di profession­alità, competenze ed esperienze che va riconosciu­to e valorizzat­o. E se non individuas­simo in quello stile di comportame­nto un codice replicabil­e, pur con tutte le articolazi­oni e le variazioni del caso, sia all’intratteni­mento sia all’informazio­ne. Ecco perché vale la pena salvaguard­are il servizio pubblico, magari emendando i suoi limiti e i suoi difetti, come presidio inalienabi­le di pluralismo e democrazia.

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