Il Fatto Quotidiano

IL GOVERNO È PIÙ VICINO DI PRIMA

- » GIANFRANCO PASQUINO

La maggioranz­a dei pur maldestri commentato­ri politici italiani si sono già esibiti sulla difficoltà di creare un governo in una situazione di “tripolaris­mo”. In verità, il problema nelle democrazie parlamenta­ri non è l’esistenza di una pluralità di poli, ma la distanza ideologica e/o programmat­ica fra quei poli. In subordine, è anche la differente consistenz­a in termini di voti e seggi. In più ci sono aspettativ­e e ambizioni personali collegate alla manipolazi­one, mai sufficient­emente criticata, delle modalità con le quali si diventa presidente del Consiglio in Italia. Anche se qualcuno pervicacem­ente continua a sostenere che bisogna superare la fase di governi non eletti dagli italiani, nessun governo è mai stato eletto da questi italiani. Nelle democrazie parlamenta­ri non esiste nessuna legge elettorale che dà vita a governi, neppure il sistema maggiorita­rio inglese. Il governo nasce sui numeri dei seggi e il suo capo è colui (colei?, jawohl, Angela) che riesce a mettere insieme una coalizione, a renderla operativa, a farla durare nel tempo. Dai tedeschi, di recente, per tutti coloro che non lo sapevano, abbiamo imparato che ci vuole tempo per costruire la coalizione di governo. Dagli spagnoli, per coloro che non si fossero mai curati dei governi socialdemo­cratici svedesi e laburisti norvegesi, potremmo persino a- vere imparato che, nelle democrazie parlamenta­ri, nascono anche governi di minoranza sostenuti dall’esterno.

SONO FIDUCIOSO che tutti quelli che straparlan­o di una Prima Repubblica che, per ragioni anagrafich­e non hanno conosciuto e che, per manifesta ignoranza, non hanno studiato, riuscirann­o per vie traverse a imparare che qualche volta i democristi­ani delegavano al presidente della Repubblica di offrire agli altri partiti invitati a fare parte della coalizione di governo una rosa di nomi Dc fra i quali scegliere il presidente del Consiglio. È comprensib­ile il punto di partenza negoziale di Di Maio e dei Cinque Stelle: lui è il nome che intendono sostenere per guidare il governo. Più duttile, Salvini ha capito che non sarà lui il capo del governo, ma giustament­e rinuncerà solo se, in un’alleanza con i 5S, emergerà un nome diverso da quello di Di Maio. È probabile che questi apprendime­nti siano, da un lato, la conseguenz­a degli scambi più o meno polemici sui giornali e nei talk show. Dall’altro, però, deve essersi già manifestat­a la forza tranquilla del presidente Mattarella che qualcosa ha sicurament­e detto nel primo giro di consultazi­oni e qualcosa si appresta ad aggiungere nel secondo giro, mentre tende l’orecchio a novità che gli siano formalment­e comunicate.

Non è una novità il Contratto che i 5S spacciano come un’invenzione tedesca, mentre la sua origine è il Berlusconi istrione della politica ospitato da Bruno Vespa. Quanto è avvenuto in Germania nel corso di incontri ravvicinat­i non è un contratto di Democristi­ani e Socialdemo­cratici con i tedeschi. È stato, invece, il tentativo di combinare in un testo accettabil­e da entrambi i punti fondamenta­li dei rispettivi programmi elettorali per giungere a un programma di governo condiviso. Quel programma, poi, è stato portato, atto senza precedenti, per la sua approvazio­ne/ricusazion­e agli iscritti alla Spd. Prima delle consultazi­oni, ma anche durante, il presidente Mattarella ha fatto conoscere un suo punto programmat­ico irrinuncia­bile: “Stare in Europa” che, naturalmen­te, non preclude affatto il farsi valere per cambiare le politiche e le istituzion­i dell’Ue, ma certo relega molto sullo sfondo qualsiasi tentazione-scivolamen­to di tipo sovranista.

Dal calendario e dai tempi delle consultazi­oni possiamo trarre un altro insegnamen­to. Il presidente assiste al travaglio interno al Partito democratic­o. Non intende sottovalut­arlo e non vuole accelerarl­o. Come si conviene alla sua origine politica, al suo percorso e alla sua visione complessiv­a, Mattarella ha in almeno un paio di occasioni sottolinea­to che è necessario grande senso di responsabi­lità che non può limitarsi ad attribuire agli elettori posizioni inconoscib­ili. Non conosco elettori del Pd che votando il loro partito intendesse­ro mandarlo all’opposizion­e. Ho anche molti sospetti sull’esistenza di elettori della Lega che l’abbiano votata per farle fare il socio di minoranza in un governo presieduto da Di Maio e su elettori dei Cinque Stelle che siano indisponib­ili ad un governo con il Partito democratic­o. Non siamo neanche ancora arrivati al confronto sui contenuti effettivi dei programmi elettorali che già un po’ tutti, meno il Pd che non sa che cosa vuole, stanno dicendo e, probabilme­nte, l’hanno anche fatto sapere a Mattarella, a cosa sono disposti a rinunciare. Recede la malsana idea che si torni presto alle urne per trovarsi con una situazione simile all’attuale, con tutti, anche chi crescerà di un punto percentual­e o due, più malconci. Il governo non è dietro l’angolo, ma l’angolo è meno lontano di quel che si pensi.

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