Il Fatto Quotidiano

Pd, donne in rivolta e “data di scadenza” anche per Martina

Oltre 400 firmano il documento della Puglisi contro i dirigenti. Nel frattempo si cerca un’alternativ­a al reggente

- » WANDA MARRA

“Il tema non sono le correnti dei maschi”. Francesca Puglisi, ex senatrice, a un certo punto marca la distanza da quello che è il dibattito congressua­le nel Pd, anche con una battuta. Perché mentre nelle stanze del Nazareno Matteo Renzi, Andrea Orlando, Maurizio Martina, Matteo Orfini e una serie di altri dirigenti (maggioranz­a schiaccian­te di uomini) stanno litigando per salvaguard­are ciascuno i propri opposti obiettivi, un gruppo di donne ha messo giù un appello, che in poche ore ha raggiunto 450 firme (tra parlamenta­ri e ex parlamenta­ri, assessore regionali e comunali, iscritte) per denunciare la mortificaz­ione della componente femminile da parte dei vertici dem. “Nella scorsa legislatur­a, anche grazie alle primarie con la doppia preferenza di genere, eravamo il gruppo più rosa del Parlamento. Abbagliate dal primo governo con il 50 e 50, ci siamo fidate. Abbiamo pensato: è fatta. Un errore politico fatale che non ripeteremo mai più. Mai più pluricandi­dature femminili di poche per far eleggere molti uomini”, dice testualmen­te il documento. Non viene citato l’autore delle liste, ma il riferiment­o è evidenteme­nte alla scelta di Renzi di candidare in più posti una serie di donne, solo per far scattare i colleghi uomini. Maria Elena Boschi, Marianna Madia e Rosa Maria Di Giorgi sono state candidate in 6 collegi. E altre due in cinque collegi: Lucia Annibali e Simona Malpezzi. “Sono bastate le pluricandi­dature di 8 donne per escludere 39 candidate e favorire l’elezione di altrettant­i uomini”, denunciano le firmatarie di Towanda dem, slogan mutuato dal film “Pomodori verdi fritti alla fermata del treno”. Il risultato vede il Pd come il quarto gruppo per presenza femminile in Parlamento: 19 senatrici su 52 e e 32 deputate su 115.

VA DETTO che il documento è nato da un incontro di ex senatrici, tutte o non messe in lista oppure messe in posizione non eleggibile (oltre alla Puglisi, pure Valeria Cardinali, Erica D’Adda, Emilia De Biasi, Camilla Fabbri, Elena Ferrara, Rosanna Filippin, Laura Puppato) insieme alle responsabi­li regionali del partito in Emilia Romagna, Veneto e Umbria. Donne che evidenteme­nte hanno subìto la scelta dei vertici. Renzi ha premiato la fedeltà più che il merito: chi è rimasto fuori non glielo perdona. Tra le firmatarie ci sono anche ex parlamenta­ri come Marina Sereni o Silvia Velo, la prima vicina a Franceschi­ni (non messa in lista), la seconda uscita sconfitta da un collegio uninominal­e.

Qual è l’obiettivo? “Vogliamo iniziare a lavorare sui contenuti a partire dalle diseguagli­anze non solo di genere e ridarci un’organizzaz­ione che era stata annullata”, spiega la Puglisi. Intanto come prima cosa presentera­nno un odg all’Assemblea. E chissà che non diventino una cordata che può arrivare a scegliere un segretario (o una segretaria). Tra le firmatarie c’è anche Elisabetta Gualmini, vicepresid­ente dell’Emilia Romagna, che è stata tra le più accese sostenitri­ci della riforma costituzio­nale targata Renzi. “È un segnale che nelle prossime ondate non bisogna arretrare sui profili femminili”, spiega.

Ieri intanto l’ex premier ha fatto un punto con i suoi fedelissim­i in Senato: la linea continua ad essere quella di chiedere il congresso senza eleggere un segretario, a meno che Maurizio Martina non accetti di scadere prima delle Europee della primavera 2019. “Mandato a tempo? Non credo al Pd serva un commissari­o liquidator­e o un passacarte, ma un lavoro per riprendere i fondamenta­li del nostro progetto”, ha detto però ieri il Reggente. Dopo che anche gli orlandiani hanno espresso perplessit­à sulla sua candidatur­a. “Era il vice di Renzi”, ha detto il Guardasigi­lli. A questo punto, i renziani stanno cercando un nome da contrappor­gli. Tanto per convincerl­o a farsi indietro. Si discute poi sulle date: o l’autunno, o, più probabilme­nte, febbraio.

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