SUBORDINATI E NON: COSÌ TORNIAMO INDIETRO
Secondo il Tribunale di Torino, i rider (fattorini) di Foodora non sono che lavoratori autonomi che prestano servizio per la piattaforma difo od de live ry. Viene così respinto il ricorso dei lavoratori contro l’azienda che li aveva unilateralmente disconnessi, di fatto licenziandoli, a seguito delle prime mobilitazioni contro il sistema del cottimo e le condizioni di lavoro imposte. Una sentenza, la prima in Italia, che conferma e rafforza la tendenza per cui la formalità di un rapporto di lavoro autonomo prevale sulla sua sostanza di subordinazione, come rivelano limpidamente le chat aziendali, l’obbligo della divisa, il serrato controllo dei lavoratori da parte dell’applicazione. Ma è una sentenza che non stupisce, soprattutto nel Paese che ha fatto dell’ideologia del lavoro autonomo uno dei capisaldi delle riforme del lavoro e delle trasformazioni delle relazioni industriali in Italia. La posta in gioco è fin troppo elevata: riportare in seno all’azienda i costi di produzione e la tutela dei diritti dei lavoratori, dal salario alle ferie, dall’assicurazione contro il rischio incidenti alla manutenzione dei mezzi di produzione, le biciclette. Così, la lotta dei fattorini che da più di un anno e mezzo hanno intensificato non soltanto i momenti di mobilitazione e protesta ma soprattutto il numero di lavoratori coinvolti in più città italiane aveva bisogno di una doccia fredda. Per ribadire come se ce ne fosse bisogno da quale parte sta oggi il diritto, quello delle imprese, non dei lavoratori.
Eppure, il verdetto di Torino risulta in controtendenza rispetto a quanto sta avvenendo nelle aule di tribunale in Europa e non solo sul tema della subordinazione dei gig-worker, di Deliveroo come di Uber. Lo sanno bene i rider che proprio questo week end terranno la loro prima assemblea nazionale e sono in contatto con i colleghi di tutta Europa: un’avanguardia che alla frantumazione imposta dalle aziende contrappone un’unità inedita nel panorama del mondo del lavoro.