Il Fatto Quotidiano

Foodora s’è mangiata il lavoro: “Quei rider non sono dipendenti”

Erano stati sospesi per aver protestato

- » ANDREA GIAMBARTOL­OMEI

Uscendo dal palazzo di giustizia di Torino, due rider inforcano le bici e cominciano a pedalare sotto la pioggia con lo zaino di un’azienda di consegne di cibo a domicilio. Sulle spalle portano anche il peso di una causa persa. Ieri sera il tribunale ha respinto l’azione promossa da loro e da altri quattro ex colleghi che nel 2016 hanno lavorato per Foodora fino a quando sono stati sospesi, “sloggati” dalla app, dopo le proteste di quell’autunno perché la società aveva deciso di passare dal pagamento di 5,60 euro lordi l’ora ai 4 euro lordi a consegna, cioè al cottimo. Tutto questo senza considerar­e che smartphone, bicicletta e manutenzio­ne erano a carico loro, mentre per avere casco, giacca a vento e lo zai- no-box dovevano versare una cauzione di 50 euro. Assistiti dagli avvocati Sergio Bonetto e Giulia Druetta, hanno dato il via alla prima causa in Italia contro una delle tante aziende di “food delivery” della gig economy, una cau- sa pilota con cui chiedevano 20 mila euro a testa e 100 euro per ogni giorno di lavoro, il riconoscim­ento del lavoro subordinat­o mascherato da collaboraz­ione autonoma, dell’illegittim­ità del licenziame­nto e della violazione delle norme su privacy e sicurezza.

SECONDO I LEGALI, il lavoro era molto poco autonomo. Lo dimostrere­bbero gli ordini scritti dai “m anager ” su Whatsapp. “Ragazzi, scusate, finirei alle 10, ma chiedo di finire mezz’ora prima – scriveva un fattorino –. Ho troppo male alle gambe avendo fatto quattro ore e mezza (…). Non assegnate altri ordini, per favore”. Gli risponde il manager: “Mi spiace ma abbiamo bisogno di tutti i nostri rider per tutto il turno”. In un altro messaggio il city manager rimprovera i fattorini di non essere andati prima del turno a ritirare le birre omaggio da consegnare: “Non è opzionale, è obbligator­io”. Segue ultimatum: “Chi non passa domani e nei prossimi giorni prima del turno a prendere le birre vada pure in vacanza”. Secondo Foodora tutto questo non dimostra un rapporto subordinat­o: “Manca l’obbligo di lavorare e l’obbligo di far lavorare – ha spiegato Ornella Girgenti con i colleghi Paolo Tosi e Giovanni Realmonte –. Erano i rider a decidere quanto e quando dare disponibil­ità”. Secondo lei, dalle chat emerge che molti potevano usufruire di cambi di turno o non presentars­i senza sanzioni. Il giudice Marco Bauzano ha così respinto tutte le richieste. Tra i rider presenti l’amarezza è molta. “Questa sentenza può essere un problema per gli altri fattorini”, afferma l’avvocato Druetta. Ma non è finita.

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LaPresse In strada I fattorini di Foodora consegnano pasti a domicilio

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