Foodora s’è mangiata il lavoro: “Quei rider non sono dipendenti”
Erano stati sospesi per aver protestato
Uscendo dal palazzo di giustizia di Torino, due rider inforcano le bici e cominciano a pedalare sotto la pioggia con lo zaino di un’azienda di consegne di cibo a domicilio. Sulle spalle portano anche il peso di una causa persa. Ieri sera il tribunale ha respinto l’azione promossa da loro e da altri quattro ex colleghi che nel 2016 hanno lavorato per Foodora fino a quando sono stati sospesi, “sloggati” dalla app, dopo le proteste di quell’autunno perché la società aveva deciso di passare dal pagamento di 5,60 euro lordi l’ora ai 4 euro lordi a consegna, cioè al cottimo. Tutto questo senza considerare che smartphone, bicicletta e manutenzione erano a carico loro, mentre per avere casco, giacca a vento e lo zai- no-box dovevano versare una cauzione di 50 euro. Assistiti dagli avvocati Sergio Bonetto e Giulia Druetta, hanno dato il via alla prima causa in Italia contro una delle tante aziende di “food delivery” della gig economy, una cau- sa pilota con cui chiedevano 20 mila euro a testa e 100 euro per ogni giorno di lavoro, il riconoscimento del lavoro subordinato mascherato da collaborazione autonoma, dell’illegittimità del licenziamento e della violazione delle norme su privacy e sicurezza.
SECONDO I LEGALI, il lavoro era molto poco autonomo. Lo dimostrerebbero gli ordini scritti dai “m anager ” su Whatsapp. “Ragazzi, scusate, finirei alle 10, ma chiedo di finire mezz’ora prima – scriveva un fattorino –. Ho troppo male alle gambe avendo fatto quattro ore e mezza (…). Non assegnate altri ordini, per favore”. Gli risponde il manager: “Mi spiace ma abbiamo bisogno di tutti i nostri rider per tutto il turno”. In un altro messaggio il city manager rimprovera i fattorini di non essere andati prima del turno a ritirare le birre omaggio da consegnare: “Non è opzionale, è obbligatorio”. Segue ultimatum: “Chi non passa domani e nei prossimi giorni prima del turno a prendere le birre vada pure in vacanza”. Secondo Foodora tutto questo non dimostra un rapporto subordinato: “Manca l’obbligo di lavorare e l’obbligo di far lavorare – ha spiegato Ornella Girgenti con i colleghi Paolo Tosi e Giovanni Realmonte –. Erano i rider a decidere quanto e quando dare disponibilità”. Secondo lei, dalle chat emerge che molti potevano usufruire di cambi di turno o non presentarsi senza sanzioni. Il giudice Marco Bauzano ha così respinto tutte le richieste. Tra i rider presenti l’amarezza è molta. “Questa sentenza può essere un problema per gli altri fattorini”, afferma l’avvocato Druetta. Ma non è finita.