The Donald prende tempo: non c’è solo opzione militare
La crisi siriana Trump e la “punizione” al regime di Damasco per il presunto gas lanciato sui civili a Douma: “Non ho mai detto quando attaccheremo”
Adesso, Donald Trump cerca di confondere un po’ le acque e magari di calmarle: “Non ho mai detto il giorno e l’ora quando attaccheremo”. E ci mancherebbe altro.
In realtà, si fa avvertire il fuoco di sbarramento amico e nemico, suscitato dai tweet bellicosi del presidente Usa: il siriano al-Assad avverte che un’azione militare occidentale può destabilizzare la regione (come se ora fosse tranquilla); da Teheran, i pasdaran si dichiarano pronti alla guerra; Mosca annuncia che il canale di comunicazione con Washington è aperto – la ‘linea rossa’ è stata attivata -, ma intanto allestisce le contromisure a un attacco e fa partire la flotta dalla base di Tartus per mettere le unità al sicuro.
ALLA CASA BIANCA, a Dipartimento di Stato, al Pentagono dicono: “Nessuna decisione è stata presa, non c’è solo l’opzione militare”. Cortine fumogene? In serata, Trump chiama a consulto il segretario alla Difesa Mattis, consiglieri e generali. È l’ora delle decisioni, forse. Se l’offensiva partirà, non sarà ‘un colpo e via’, come avvenne l’anno scorso. In Si- ria, la città di Duma, teatro la scorsa settimana del presunto attacco chimico divenuto il casus belli di questa crisi, è sotto il pieno controllo delle forze governative. La polizia militare russa, che ispeziona i luoghi, dice di non avere rilevato tracce chimiche, ma ciò contrasta con le osservazioni dell’Oms, fatte sui rapporti di medici in loco, e su una ridda d’indiscrezioni d’intelligence riprese da fonti di stampa occidentali. A Duma si attendono gli ispettori dell’Opac. Ma il loro verdetto non sarà comunque definitivo: i russi parlano d’un attacco chimico costruito dall’opposizione anti-Assad per costringere gli americani a desistere dal proposito di abbandonare la Siria.
Gli europei hanno posizioni variegate e l’Alleanza atlantica offre una spalla agli Stati Uniti. “Ci sono consultazioni tra gli alleati della Nato su come ri- spondere all'attacco” a Duma. Lo dice il segretario generale Stoltenberg, che aggiunge: “L’Alleanza considera l’uso delle armi chimiche una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali e i responsabili ne pagheranno le conseguenze. L’ultimo attacco è sta- to orrendo, con decine di persone uccise, compresi molti bambini”.
LE PAROLE di Stoltenberg suonano possibile avallo a un’azione militare, di cui Trump dice d’avere valutato i rischi connessi. Le forze Usa sul terreno, numericamente ridotte, sono esposte a ritorsioni e hanno alleati inaffidabili, milizie arabe che hanno più volte cambiato campo. C’è la preoc- cupazione di essere sull’orlo del baratro di un ‘salto di qualità’ del conflitto con un faccia a faccia senza precedenti Usa–Russia. Finora, Mosca e Washington, pur battendosi in Siria su fronti diversi, sono riusciti a mostrarsi alleati contro il terrorismo integralista, anche se poi i russi appoggiano il presidente al-Assad e il suo regime e gli americani stanno piuttosto con l’evanescente opposizione ‘moderata’.
La rotta dell’Isis ha fatto cadere il comodo paravento. E le contraddizioni siriane, già note, sono esplose: gli Usa quasi assenti e sostanzialmente ininfluenti – p oc hi giorni fa, Trump progettava il completo ritiro dallo scacchiere siriano – Russia, Turchia e Iran interessati a spartirsi il Paese in zone d’influenza: Mosca e Teheran a fianco di al-Assad, in funzione d’influenza o d’egemonia regionale; Ankara soprattutto contro i curdi (e contro al-Assad); Arabia saudita e Israele che soffiano sul fuoco, soprattutto per contenere l’Iran.
La spalla della Nato “L’alleanza considera l’uso di armi chimiche una minaccia per la pace internazionale”