Siria: Trump & C. bombardano Ma soltanto un po’
Salva di missili e stop. Trump festeggia, Putin ironizza
■Dopo l’attacco (con aerei e razzi) ammonimento americano a Damasco: pronti a colpire di nuovo Scontro all’Onu Russia-Usa
“Missione compiuta” scrive su Twitter al suo risveglio il presidente Trump. Gran parte degli oltre 100 missili lanciati da Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna contro tre siti del regime siriano, sostengono gli alleati occidentali, sono andati a bersaglio; al contrario la maggior parte sarebbe stato “intercettato e abbattuto” dalla contraerea di Damasco, secondo fonti russe. Mancano dati certi così come sul bilancio di perdite umane, anormalmente leggero: alcuni militari e civili feriti.
“Missione compiuta”: ci vuole un bel coraggio perché un presidente americano usi quelle parole, che stavano scritte su uno striscione appeso sulla portaerei Abraham Lincoln, dove, il 1° maggio 2003, il presidente Bush jr accolse i primi reduci dall’invasione dell’Iraq e dal rovesciamento del regime di Saddam Hussein. Quindici anni dopo, quella “missione” non è ancora “compiuta”: anzi, la guerra all’Isis, ne è l’ennesima sangui
nosa propaggine.
IN CHE COSA, poi, la “missione” della scorsa notte sia stata “compiuta” non è chiaro: l’azione voleva ‘punire’ il presidente Bashar al-Assad per avere usato, il 7 aprile, a Douma, gas letali contro ribelli e civili; ma non mirava a un cambiamento di regime a Damasco. Ha inciso sulle capacità chimiche del regime e se lo ha dissuaso da ulteriori attacchi? Lo vedremo. Ha rimesso in moto la ricerca d’una soluzione politica, con il coinvolgimento di americani ed europei? Lo vedremo, ma non c’è motivo di crederlo. Annunciato da Trump, sempre con un tweet, mercoledì scorso, l’attacco è stato preceduto (e subito seguito) da riunioni senza frutto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e preparato da contatti militari fra russi e americani che hanno evitato incidenti diretti: la contraerea russa non ha sparato un colpo e nessun obiettivo russo in territorio siriano è stato preso di mira, al di là delle versioni discordanti tra Washington e gli alleati se il Cremlino fosse stato o meno informato. L'attacco è stato ordinato dal presidente Trump a una settimana dall'attacco con i gas a Duma, la cui dinamica non è stata ancora chiarita con certezza, in coordinamento con May e Macron. Trump ha parlato alla nazione in diretta tv, insistendo sull’esigenza di agire contro i crimini e la barbarie del regime di al-Assad, “un mostro” che massacra il proprio popolo (ma che resterà al suo posto). La May ha detto che non ci può essere “impunità”. Macron ha spiegato che “la linea rossa fissata dalla Francia nel maggio 2017 è stata oltr ep as sa ta ”. I primi missili Tomahawk sono partiti mentre Trump stava ancora parlando, poco dopo le 21, ora di Washington, le tre del mattino in Italia. L’intera o- perazione è durata poco più di un'ora. I missili Usa sono stati lanciati da aerei e unità navali. In azione anche fregate e caccia francesi e britannici, quattro Tornado.
MOSCA CONDANNAl’azione, che – dice – “non resterà senza conseguenze”: i miliziani anti-regime possono aspettarsi ritorsioni. La Russia chiede una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell'Onu: una recita a soggetto finita con un nulla di fatto. La Nato, l’Ue, molti Stati parlano d’azione “legittima” e “proporzionata”. Teheran fa sapere che “gli Stati Uniti e i loro alleati saranno responsabili delle conseguenze regionali che seguiranno all'attacco”; la guida suprema Khamenei definisce Trump, la May, Macron “criminali”.
Il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, invita alla “moderazione e alla responsabilità”. E la Cina, “fermamente contraria all'uso della forza nelle relazioni internazionali”, è in sintonia: vuole risolvere le questioni col dialogo e sollecita “un’indagine imparziale”
Crediamo di aver ridotto notevolmente la capacità della Siria di produrre armi chimiche e di poterle utilizzare contro i civili
MIKE PENCE (VICEPRESIDENTE USA) A chi giovano le bombe
Il regime resta al suo posto ma per The Donald il tweet vale qualche punto di popolarità a Washington
sull’attacco chimico a Douma.
Messo fuori gioco l’Isis, che sta magari cercano di ricostituirsi in Iraq, dove ha le sue radici, in Siria è venuto meno il minimo comune denominatore che teneva insieme gli attori, il “nemico comune”. Da tempo, ancora da prima che
Trump divenisse presidente, l’America (e i suoi alleati) si chiedono che cosa stiano a fare in Siria, visto che la matassa l’hanno ormai lasciata nelle mani di Putin, Rouhani ed Erdogan.
Trump, per una volta, pareva avere azzeccato la risposta giusta: “Non ci stiamo a fare nulla e, quindi, veniamo via”, portiamo a casa i ragazzi, aveva detto a inizio aprile. Poi, l’attacco di Douma gli ha fatto cambiare idea: qualche missile può valere qualche punto di popolarità, a Washington,