Addio a Isabella Biagini da attrice a soubrette bionda in bianco e nero
Dall’esordio da adolescente con Antonioni a imitatrice nei varietà fino a diventare caso umano in tv da Barbara D’Urso
La morte è sempre una, anche quando si sono vissute molte vite, e così diverse tra loro, come nel caso di Isabella Biagini morta ieri nella clinica Antea Hospice di Roma, dove era nata 77 anni fa. Attrice, cantante, soubrette tuttofare di uno stampo che si è perso, aveva esordito ancora adolescente dalla porta principale, il cinema italiano d’autore, una piccola parte nel quarto lungometraggio di Michelangelo Antonioni, Le amiche (1955).
ERA INIZIATA così una promettente carriera cinematografica, ma il ruolo migliore se lo era ritagliata da sé nel debutto televisivo alla metà degli anni Sessanta, la maggiorata supercotonata e supersvampita in coppia con il maestro Enrico Simonetti nei varietà Il signore ha suonato? e Lei non si preoccupi, ancora rintracciabili sulle teche Rai oltre che nella memoria di un paio di generazioni.
C’era il bianco e nero in tv, eppure nessuna soubrette di casa nostra è stata tanto bionda quanto Isabella Biagini. Allora non c’e rano nemmeno i talent, eppure al ragazza aveva del talento, duettava negli sketch comici a occhi chiusi, facendo se stessa, e si era rivelata una brava imitatrice, specializzata nel rifare Mina.
Ma era in gamba anche come cantante in proprio, tanto è vero che la vollero sia il Quartetto cetra nella commedia musicale Non cantare, spara (’68), sia Antonello Falqui in Bambole non c’è una lira (’77), show del sabato sera in cui si rievocava la storia del varietà.
Nel frattempo era cominciata un’altra vita, la stagione delle commedie all’italiana più o meno sexy, più o meno brillanti come già si capisce dai titoli e dagli autori, da Steno a Bruno Corbucci, da Marco Vicario a Francesco Pingitore; da Amore all’italiana a Mazzabubù quante corna stanno quaggiùda Boccaccioa Il ginecologo della mutua.
Il ritorno sul piccolo schermo era arrivato con il solito Arbore, che la volle in Cari amici vicini e lontani (’84), e quella fu l’ultima coda di una cometa che aveva iniziato a offuscarsi per le tur- bolenze della vita privata ma non soltanto.
Anche Harvey Weinstein era di là da venire, ma la Biagini aveva sempre saputo farsi rispettare: “Non capivo perché ci provassero con me, io avevo talento, non sono mai scesa a compromessi, non ho mai avuto bisogno di spinte”.
Nell’ultima delle sue molte vite era tornata in tv nella peggiore delle nemesi catodiche. Il bombastico sex symbol degli anni Settanta, la biondona in bianco e nero era diventata un caso umano, perfetta per la tv delle colonscopie di BarbaraD’Urso (che pure, bisogna darle atto, è stata l’unica a occuparsi di lei). Due matrimoni naufragati, la scomparsa della figlia Monica da cui non si era mai veramente ripresa; e poi lo sfratto, lo stato d’indigenza (“Ho meno di mille euro di pensione, mi alleno a fare la barbona insieme al mio cagnolino Richard”), la depressione, il ricovero in ospedale.
Non capivo perché ci provassero con me, avevo talento, non sono mai scesa a compromessi, non avevo bisogno di spinte
DA ULTIMO, l’uscita allo scoperto del “figlio segreto” Damiano Caltagirone, nato a suo dire dalla relazione segreta con il costruttore capitolino Damiano Caltagirone Bellavista.
Da Antonioni a Barbara D’Urso: questo è stato il mezzo secolo da stella cadente di Isabella Biagini, e un po’ di tutti noi.