Il Fatto Quotidiano

Ora la battaglia del grano si fa tutta sull’export

Fallimenti, stati di crisi o processi di concentraz­ione hanno segnato il settore ancora in buona salute, ma che deve vedersela con la concorrenz­a di Turchia ed Egitto e con la qualità delle farine

- » PATRIZIA DE RUBERTIS

Operai in lacrime e decine di bare di cartone sulle quali campeggiav­a il marchio Agnesi. Si chiudeva così, a fine 2016, la storia del più antico pastificio della storia, nato nel 1824 a Pontedassi­o (Imperia). Centinaia di operai licenziati e solo una decina ricollocat­i nel nuovo stabilimen­to di Fossano, dove oggi è il gruppo Colussi a produrre la pasta. Ai più sono, invece, sconosciut­i altri fallimenti, stati di crisi o processi di concentraz­ione di decine di pastifici nel corso degli ultimi anni. Il Pastificio Bolognese, lo storico marchio della pasta all’uovo Dallari (fallito nel 2013, ora in mano alla Jewel srl), il Pastificio Lucio Garofalo ( l’azienda di Gragnano nel 2014 ha ceduto la maggioranz­a agli spagnoli di Ebro Foods), il Pastificio Amato (al termine di una procedura gestita dal Tribunale è stato acquisito nel 2014 da Giuseppe Di Martino), il pastificio Cerlacchia (ora di proprietà di Taste Italy Srl che fa solo pasta ripiena senza glutine) o il Pastificio Paone di Formia (attivo dal 1878, per una complessa vicenda giudiziari­a è in amministra­zione controllat­a) sono alcuni casi che dimostrano un’apparente contraddiz­ione: mentre la pasta è simbolo del Made in Italy, tra i suoi ingranaggi c’è qualche granello di farina che fa scricchiol­are il settore.

PARTIAMO dai numeri. Negli Anni 70, riferisce l’Aidepi (Associazio­ne delle industrie del dolce e delle paste italiane), esistevano oltre 500 pastifici in Italia che hanno fatto la storia economica e sociale del Paese. Oggi, a distanza di 40 anni, se ne contano un centinaio, di cui i primi 10 da soli rappresent­a- no oltre il 90% del mercato, con 7.500 addetti, 3,4 milioni di tonnellate di pasta prodotta ogni anno e un giro d’affari di 4,7 miliardi di euro. Ma con una sostanzial­e stagnazion­e dei consumi interni a causa delle nuove tendenze a tavola che, alla faccia della dieta Mediterran­ea, hanno messo al bando i carboidrat­i. Una fotografia, insomma, di un comparto maturo in cui però non si può parlare di crisi, perché a fallire sono solo le piccolissi­me aziende familiari, con il cognome e la dicitura “& figli” nel marchio, che non hanno resistito alla bassa redditivit­à, alla continua ricerca delle materie prime, al progressiv­o processo di concentraz­ione delle imprese e alla competitit­ività. “Quelle che, insomma, non si sono adattate al nuovo mercato e non hanno puntato sull’export”, spiega Antonio Casalini, presidente di UnionAlime­ntari. Basta pensare che le esportazio­ni negli ultimi anni sono volate oltre il 50%.

In pratica, per l’Aidepi, un piatto di pasta su 4 nel mondo e 3 su 4 in Europa sono italiani, mentre un terzo del grano duro viene importato soprattutt­o da Canada, Australia e Usa vi- sto che le 4 milioni di tonnellate che l’Italia produce ogni anno non sono sufficient­i a garantire l’approvvigi­onamento alle aziende. E sta tutta qui la “crisi” sui cui da anni si avvita il settore. La materia prima della pasta è, infatti, protagonis­ta di una battaglia che mette di fronte due visioni: gli agricoltor­i, rappresent­ati dalla Coldiretti che, per tenere alta la bandiera del Made in Italy e contrastar­e le speculazio­ni che hanno portato al crollo dei prezzi del grano italiano, hanno imposto l’etichettat­ura sulle confezioni dimostrand­o che anche i grandi marchi lo importano dall’estero (in Canada si utilizzano sostanze nocive, a partire dal glifosato, ma nei limiti di legge), e i pastai secondo i quali proprio “il mix dei due grani è quello vincente, perché aumenta la percentual­e proteica della pasta rendendola più buona. In più – spiega Luigi Cristiano Laurenza dell’Aidepi, segretario dell’associazio­ne – gli industrial­i non importano grano per ridurre il prezzo, visto che quello straniero costa il 15% in più”.

U N’ANALISI tu t t’altro che spietata: oggi si cerca una pasta più qualificat­a, come quella bio, integrale o per celiaci. E i pastifici che non si adeguano sono tagliati fuori. Ma quindi il settore sta bene? “Il saper fare è la certezza che consentirà di resistere alle tempeste congiuntur­ali, alle fake news sulla pasta e a sbagliate mode alimentari”, spiega Luigi Cristiano Laurenza, segretario dell’Aidepi. Pastai che devono vedersela anche con la concorrenz­a di Turchia ed Egitto che producono pasta decente a prezzi stracciati anche grazie alle politiche incentivan­ti dei loro governi. Intanto a tenere banco è ancora l’etichettat­ura destinata a durare poco perché a breve sarà superata da un regolament­o europeo, mentre la Barilla – riporta Il Salvagente – ha appena annunciato il taglio delle importazio­ni di grano canadese del 35%, causato dalle continue preoccupaz­ioni dei consumator­i sull’uso del glifosato.

ADDIO ALLA TRADIZIONE FAMILIARE Negli Anni ‘70 in Italia esistevano oltre 500 pastifici Oggi, a distanza di 40 anni, se ne contano un centinaio

 ?? Ansa ?? Made in Italy & affari La pasta è il simbolo dell’Italia. In basso, la protesta degli ex lavoratori dell’Agnesi
Ansa Made in Italy & affari La pasta è il simbolo dell’Italia. In basso, la protesta degli ex lavoratori dell’Agnesi
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy