LA RIBELLIONE CONTRO LE ÉLITE DELLA FRANCIA
Nell’inquietante video Dominations du monde, esposto al Palais de Tokyo in una personale dedicata allo smascheramento e alla critica del potere (Il nemico
del mio nemico, fino al 13 maggio), l’artista franco-algerino Neïl Beloufa rappresenta diversi meeting ufficiali di decisori e dirigenti i quali, dopo aver profuso analisi del declino dei rispettivi Paesi, le portano alle estreme conseguenze giungendo a proclamare la necessità della guerra. Non è chiaro se Emmanuel Macron, che nella questione siriana ha indossato l’elmetto (almeno a parole) prima contro la Turchia e ora contro la Siria di Assad, voglia deflettere sul piano internazionale una situazione di politica interna divenuta delicata. È un fatto però che si sta rivelando rischiosa la sua idea di poter fare a meno, nella Francia en marche, dei corpi intermedi, nello spirito che l’ex premier Manuel Valls ammirò durante il suo primo incontro romano con Matteo Renzi, in una sala vuota di Palazzo Chigi, che il collega italiano gli definì come “quella in cui i miei predecessori incontravano le parti sociali, ora non serve più”.
Le parti sociali imperversano ovunque, in questa turbolenta primavera francese: i ferrovieri lavorano tre giorni e ne scioperano due, gli studenti occupano sempre più università (da Montpellier alla Sorbona, da Strasburgo ad Angers), gli spazzini e i piloti di Air France scioperano a singhiozzo. Ma se questi ultimi avanzano anzitutto rivendicazioni salariali, i dipendenti della Sncf protestano contro una riforma che vuole liberalizzare il mercato delle ferrovie (si cita come esempio virtuoso l’Italia!), cambiando contratto e condizioni dei lavoratori e mettendo a repentaglio ben 9000 km di binari “rami secchi”. Gli studenti, invece, si scagliano contro possibili tagli ma soprattutto contro un sistema di selezione che giudicano iniquo ed elitario: il cosiddetto
parcoursupsi baserà sul rendimento degli allievi nella scuola secondaria (voti ottenuti a 15-17 anni) per formare le graduatorie che sanciranno il diritto dell’aspirante studente a frequentare o meno questa o a quella università, anche se la facoltà prescelta non è a numero chiuso.
In vista di una grande manifestazione del 5 maggio, la mobilitazione nel Paese raggiunge i livelli del novembre 1995, quando Alain Juppé tentò un analogo assalto alla Sbcf, finendo sconfitto dal blocco che paralizzò la Francia per settimane: oggi come allora, è sulla difesa del servizio pubblico che converge una larga parte del Paese, non ingannata dalla retorica dell’efficienza. Nel settore ferroviario, i 50 miliardi di debito non sono stati infatti creati dalle tessere gratuite dei ferrovieri, bensì da faraonici investimenti spesso privi di coperture, da ingenti debiti finanziari (pesano per il 60 per cento), da un management poco attento alle perdite; e quanto ai privilegi, chi ritiene che il problema stia nel diritto di sciopero farebbe bene a guardare il libro di V. Jauvert, Gli intoccabili di Stato (Laffont 2018), dove, nel contemplare con nomi e cognomi l'élite uscita dalle Grandes Écoles e oggi al vertice del Paese, si enumerano una tale quantità di compromissioni, conflitti d’interessi, porte girevoli con banche e multinazionali, amicizie sospette, stipendi rubati, cumuli d’incarichi da far impallidire la Castadi Rizzo e Stella. E sono questi énarques, dal compagno d’anno di Macron Mathias Vicherat (ora direttore aggiunto della Sncf) al segretario generale dell’Eliseo Alexis Kohler (già manager di Msc Crociere), sono questi strapagati frequentatori dei circoli più esclusivi della Capitale a imporre ora a migliaia di lavoratori una flessibilità che non riguarderà mai né loro né le loro famiglie.
A corollario di questo quadro, arriva in votazione un altro provvedimento-simbolo del nuovo corso macroniano, la nuova legge Collomb sull’immigrazione, che prevede tempi più lunghi di detenzione nei Centri di accoglienza (anche per i minori; fino a 90 giorni), tempi più brevi per il ricorso contro il rifiuto della domanda d’asilo (da 11 a 6 mesi), rimpatri facili, nonché infine la possibilità per la polizia di intervenire a identificare e “scremare” i migranti fin dentro i Centri (chi si è stupito dell'incidente di Bardonecchia non è a giorno delle nuove prassi d’Oltralpe, dove secondo alcuni osservatori i migranti ormai trattati “peggio degli animali”). Si sono indignate non solo le ong, ma anche una parte dello stesso movimento del presidente.
La “lepenizzazione delle menti”, penetrata ben dentro la società (anche i ministri di Hollande sbandieravano le cifre degli espulsi, e perfino la sinistra di Mélenchon mantiene un atteggiamento ambiguo), trova poco argine nella politica, e si specchia nell’affiorare di gruppi estremisti, come Bastion social (ispirato a CasaPound), o Génération Identitaire, che dopo le ronde anti-im- migrati e la propaganda securitaria ora mirano alle università e attaccano i sinistrorsi che occupano le facoltà.
Nello slancio europeista (poi rivelatosi un simulacro di retorica unitaria che mascherava atti ostili a spese degli altri, anzitutto l'Italia); nella politica anti-xenofoba (poi rivelatasi un modo poco più soft di reprimere l’immigrazione, “perché altrimenti vince il Front National”); nelle dichiarazioni di voler rottamare il vecchio sistema delle élite e delle corporazioni promettendo un sistema liberale “di tutte le concorrenze e di tutte le competizioni" (come se il suo potere non dipendesse in realtà da quegli stessi “intoccabili” che hanno condiviso con lui formazione, ambienti, ideologie); nella sbandierata laicità (schiantata sul discorso alla Conferenza episcopale francese, in cui ha promesso impegno nel ricucire il “legame rovinato” tra Chiesa e Stato); nell’intento di difendere il “pubblico” (dimenticando che egli stesso viene da anni a Rothschild, e compromissioni con banche e corporation interessano buona parte dei quadri dello Stato): in tutto questo Macron sembra ripercorrere la parabola di Renzi (forse sottoporrà anch'egli a referendum la propria riforma del Parlamento, che prevede il taglio del 30% degli eletti, e l’inserimento di una quota proporzionale del 15% nel sistema maggioritario a doppio turno).
Ma Macron procede con qualche rischio, in un Paese che mantiene ancora un grado di vigilanza da noi quasi smarrito, e che non rinuncia alla memoria della denuncia dell’elitarismo di Pierre Bourdieu, né allo spirito del maggio di 50 anni fa, i cui manifesti campeggiano in riva alla Senna dentro il Palais des Beaux-Arts ( Images en lutte, fino al 20 maggio).
Del resto, quando un presidente della République afferma al Collège de France che la democrazia “è il sistema più bottom up di tutti”, non serve il fine antiamericanismo di Régis Debray ( Civilisation, Gallimard 2018) per capire che siamo dinanzi a un modesto ufficiale liquidatore dello spirito europeo dinanzi al (momentaneo?) trionfo dell’h mo oeconomicus.
PIAZZE In Francia la mobilitazione rag giunge i livelli del 1995, quando Alain Juppé dovette arrendersi FRONTIERE Anche dentro En Marche! c’è disagio per la linea dura di stampo lepenista contro i migranti
TRASPORTI E UNIVERSITÀ Il presidente francese sta ripetendo gli errori di Renzi: imporre le riforme aggirando i corpi intermedi che però in Francia riescono ancora a opporsi al falso mito dell’efficienza